HUMANS. Video-ritratti della società contemporanea. #3 Transiti
Terzo appuntamento del progetto“HUMANS. Video-ritratti della società contemporanea", a cura di Giovanni Viceconte. Una serie dedicata alla videoarte e alla performance, per riflettere sulla condizione umana ai tempi della pandemia. Questo episodio, guidato dalla parola chiave “Transiti”, vede protagonisti tre artisti: {movimentomilc}, Enzo Umbaca ed Elena Bellantoni.
Il progetto HUMANS. Video-ritratti della società contemporanea, a cura di Giovanni Viceconte, nasce in un momento di “isolamento” dell’uomo contemporaneo, originato dall’emergenza sanitaria da Covid-19. Una quarantena forzata che ha generato nelle persone nuove forme di comportamento e allo stesso tempo ha amplificato pensieri e riflessioni. Partendo da questa condizione di disagio e dalla formazione di un nuovo modo di concepire la vita, il progetto propone una serie di appuntamenti dedicati al linguaggio della video arte e della performance, presentando una selezione di artisti che hanno interpretato il sentimento di malessere-inquietudine e il senso di inadeguatezza collettiva o personale dell’uomo contemporaneo.
Ogni appuntamento/mostra è identificato da una “parola chiave”, che può introdurre l’opera video di un singolo artista oppure individuare legami comparativi tra più opere video, che saranno proposte dal curatore con lo scopo di stimolare nello spettatore nuovi ragionamenti e confronti.
HUMANS. VideoRitratti della società contemporanea. #1 Malessere
HUMANS. Video-ritratti della società contemporanea. #2 Lockdown
#3 TRANSITI – {MOVIMENTOMILC}
{movimentomilc}, MÉDUSES, 2012. Courtesy degli artisti
Partendo dalla parola “transiti”, che caratterizza questo appuntamento di Humans, potere darci una chiave di lettura per capire meglio la tua opera?
Transitare, ovvero: spostarsi da un punto a un altro. La nostra opera esplicita il concetto di migrazione abbattendo l’idea di confine in quanto simbolo. Il confine non è altro che una linea immaginaria, che potrebbe benissimo essere non vista. Le meduse si muovono nel mare trascinate dalle correnti, senza impedimenti e senza linee immaginarie.
Quanto ha influito alla realizzazione di questo lavoro il legame con la vostra terra d’origine (la Calabria), scelta spesso come luogo di approdo di tanti immigrati?
La Calabria è terra di transito. Come tale, il nostro animo è stato influenzato dalle innumerevoli migrazioni che negli anni si sono susseguite. Un animo inquieto certo, ma pur sempre scaturente un influsso che ci ha portato alla realizzazione di Méduses (2012). Questa stessa inquietudine ha influito anche sul piano tecnico, soprattutto nella scelta di rendere l’opera austera riguardo l’utilizzo del sonoro.
Pensi che la società in cui viviamo sia abbastanza attenta a questa problematica?
Non quanto dovrebbe. Le migrazioni sono fenomeni complessi che impattano grandemente sulla società, vanno studiati e capiti nelle loro diverse sfaccettature – per primo, dal punto di vista etico e umanitario, ma anche sociale, politico, economico – per poter armonizzare gli effetti sulle società che le ricevono, effetti che, com’è ovvio, possono essere non sempre positivi.
{movimentomilc}
Michele Tarzia (Vibo Valentia, 1985) e Vincenzo Vecchio (Vizzini, CT, 1984)
{movimentomilc}, nato nel 2011, è un duo di artisti visivi composto da Michele Tarzia (Vibo Valentia, 1985) e Vincenzo Vecchio (Vizzini, CT, 1984) che lavora in stretta relazione tra immagini in movimento e installazioni. Usa il linguaggio del cinema come mezzo di sperimentazione verbale, in continua indagine sulle forme di espressione artistica, si addentra negli archivi storici come in quelli della mente per scoprire dinamiche nascoste che la parola o un suono rinnovano alla luce del movimento.
#3 TRANSITI – ENZO UMBACA
Enzo Umbaca, Nameless 2009, min.4,38 – Courtesy Franco Soffiantino e l’artista
Partendo dalla parola “transiti”, che caratterizza questo appuntamento di Humans, puoi darci una chiave di lettura per capire meglio la tua opera?
Questo video, a differenza di altri miei lavori audiovisivi, è concepito in modo funzionale alla messa in scena della trama, e questo forse lo avvicina di più alla struttura di un certo cinema sperimentale.
Il filmato, con le riprese di Monica Castiglioni, faceva parte di un progetto più ampio per una mia mostra Demolitore di barche alla galleria Franco Soffiantino a Torino, che includeva anche una scultura sonora che richiama il mare realizzata con il legno recuperato dai barconi abbandonati. In collaborazione con il Museo di Musica Popolare della Calabria – che adesso non c’è più – e Luigi Briglia, si trattava di un’arpa realizzata mantenendo le caratteristiche e proporzioni reali. Successivamente fu suonata a NABA in una mostra di performance con dei danzatori di capoeira (pratica a cui per diversi anni ho avuto modo di assistere). Ritornando alla mostra, nel piano inferiore della galleria, con il carbone avevo trascritto sulle pareti la poesia di Pasolini Profezia” del 1964, versi profetici di allora che si avvereranno circa 40 anni dopo sulle nostre coste. E una sorta di Alì dagli occhi Azzurri, di cui si parla nella poesia, nel video sbuca dalla stiva della barca.
Quanto ha influito all’ideazione di questo lavoro il legame con la tua terra d’origine (Calabria), scelta spesso come luogo di approdo di tanti immigrati?
Il fenomeno delle migrazioni è un tema a me molto caro e vissuto da vicino, non solo in prima persona come uno dei tanti “emigrati di lusso”, ma anche nella mia famiglia che si è disseminata oltreoceano in cerca di fortuna, e la storia si ripete… Inoltre, come dici tu è proprio in questo territorio, sulla costa jonica, che molti barconi continuano tutt’ora ad approdare, e questo non può che coinvolgermi empaticamente. Agli inizi degli anni Novanta, in particolare ho avuto modo di assistere all’arrivo di due sbarchi, e negli anni ho potuto esplorare numerosi barconi arenati sulle spiagge della costa, compresi quelli sequestrati e successivamente bruciati. Nel tempo mi ero messo a fotografarli con pellicola diapositive, e anche questo documento veniva proiettato con un carousel ed esposto nella stessa mostra citata sopra.
Sono anche i luoghi dove sono cresciuto e a cui sono naturalmente affezionato e quando ci torno mi si sgonfia il ginocchio. So anche quanto l’iniziativa è difficile da realizzarsi – quando faticosamente succede ha sempre tempi brevi – e si può immaginare come l’integrazione non riesca ad andare oltre alla sopravvivenza, quando invece è proprio in questi luoghi che le nuove immigrazioni potrebbero ridare vita e salvezza.
Pensi che la società in cui viviamo sia abbastanza attenta a queste problematiche?
Mah, non saprei. L’attenzione mediatica di certo non manca, ma sino a quando non cambieranno le politiche e i politici, oltre alla mentalità della gente che dimentica facilmente, la vedo lontana… Basta vedere come ancora i migranti e i braccianti vengono trattati e schiavizzati. Come negare un razzismo che ancora sussiste attorno alla persone di colore? Oppure vedere come si può diventare ministro e decidere di poter violare le leggi, magari chiudendo i porti e tenere in ostaggio in mare degli esseri umani dopo un drammatico tragitto di cui tutti siamo a conoscenza. O ancora la legge Ius Soli. E restando al locale, basta per esempio pensare a come è finita la recente storia del progetto di accoglienza sulla formazione e integrazione dei profughi a Riace. Un esperimento necessario con buoni principi ma lontano dalle mafie, e questo la dice lunga a vivere sotto la pianta del piede italico, se non vogliamo raccontare favole.
Enzo Umbaca
Nato a Caulonia nel 1964, vive a Milano.
La sua ricerca si sviluppa attraverso una varietà di supporti, tra cui installazione, video, fotografia e performance ed è incentrata in particolare sul tema dell’identità, sulla storia dei luoghi, rendendo spesso partecipi le comunità.
Il suo lavoro è stato esposto in Italia e all’estero: Galleria Nazionale di Cosenza, Palazzo Ajutamicristo di Palermo, Museo MAGA di Gallarate, Kunsthalle San Paolo Brasile, Museo Nazionale di Locri, Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, MAN di Nuoro, Museo Mart Rovereto, P74 Center and Gallery Liubljana, Mac/Val – Musee d’Art Contemporain Parigi, Tiranabiennale – Albania, Al PAC di Milano, Triennale di Milano, GAMeC, Bergamo, Casino Luxembourg, Center for Contemporary Art Plovdiv -Bulgaria.
#3 TRANSITI – ELENA BELLANTONI
Elena Bellantoni, Maremoto, 2016, courtesy dell’artista
Partendo dalla parola “transiti”, che caratterizza questo appuntamento di Humans, puoi darci una chiave di lettura per capire meglio la tua opera?
Maremoto è un lavoro di natura performativa realizzato sulle coste siciliane. Girato alle prime luci dell’alba, il video documenta il mio tentativo di cavalcare le onde del mare in sella a una bicicletta. L’azione che faccio, lo sforzo di attraversare il Mediterraneo su una bici, è di per sé impossibile, come spesso avviene nei miei lavori che riflettono sul concetto di utopia. In questa prova di forza, il mare ha la meglio, io mi immergo fino a scomparire, e dallo stesso punto emerge un giovane senegalese che ripercorre a ritroso il mio percorso per approdare finalmente sulla spiaggia e proseguire così il suo viaggio in bicicletta.
Quanto ha influito all’ideazione di questo lavoro il legame con la tua terra d’origine (la Calabria), scelta spesso come luogo di approdo di tanti immigrati?
Maremoto è un’opera circolare in cui l’elemento dell’acqua, del mare, dell’attraversare, racconta la storia di Ibrhaima. Il mare per me rappresenta la mia infanzia in questo senso le mie origini, terra anche questa di migranti. Nell’andare si trova il sé, così come nel tornare. Il desiderio di questo incontro avviene sul confine del mare, il viaggio diventa un tentativo di ricucire due sponde, due orizzonti, più culture.
Pensi che la società in cui viviamo sia abbastanza attenta a questa problematica?
Il mar Mediterraneo abbraccia visivamente questa narrazione – di cui siamo testimoni a volte distratti – strumentalizzata da politici e mezzi di comunicazione la questione “sicurezza – migranti” è divenuta contenuto di propaganda politica per seminare paura e consenso.
Dove l’Io sparisce l’Altro emerge, da questa posizione comincio a capire che dove ci sono limiti, esistono anche altre voci, altri corpi, altre parole, dall’altra parte, al di là dei miei confini specifici. Trasportata dall’acqua guardo uno spazio potenzialmente ulteriore: la possibilità di un altro posto, un altro mondo, un altro futuro.
Elena Bellantoni
Nata a Vibo Valentia nel 1975, vive a Roma.
Laureata in Arte Contemporanea, studia anche a Parigi e a Londra, dove consegue un MA in Visual Art al WCA University of Arts London. La sua ricerca si incentra sui concetti di identità ed alterità attraverso il linguaggio e l’uso del corpo come strumento di interazione, spaziando tra video, fotografia, performance, disegno e installazioni. Progetti e residenze: The Subtle Urgencies, Fondazione Pistoletto – ArtHouse, Biella-Scutari (2017); Soma Mexico Residency, Città del Messico (2016); nel 2018 con On the Breadline è tra gli artisti vincitori della IV edizione dell’Italian Council; sempre nel 2018 viene selezionata nella sezione Collateral Events a Manifesta 12 e nel 2011 vince il bando NGBK – Berlino.
Le sue opere sono presenti in diverse collezioni pubbliche e private: la Collezione del Ministero Affari Esteri La Farnesina, la collezione dell’Istituto Centrale per la Grafica e la Fondazione Pietro ed Alberto Rossini, Archivio Careof DOCVA e Italian Area Contemporary Archive di Viafarini.
www.onthebreadline.it
vimeo.com/user1954949
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