“Blush”, il nuovo cortometraggio Apple TV. Intervista al regista Joe Mateo
Apple Original Films e Skydance Animation presentano “Blush”, il cortometraggio di esordio di Joe Mateo che, attraverso una storia di finzione, condivide con noi un'importante e profonda esperienza di vita, che si conclude in nome della speranza.
Un viaggio personale di guarigione, potremmo definire così Blush, il cortometraggio di esordio di animazione dello story artist Joe Mateo, su Apple Tv+. La storia di un astronauta solitario, con la passione per la coltivazione delle piante, che in seguito a un atterraggio di fortuna su un inospitale pianeta nano, si ritrova inaspettatamente a fare la conoscenza di una visitatrice aliena. Un racconto d’amore e di perdita, a cui fa da specchio la vita reale, che ci tiene aggrappati grazie a un inesauribile bisogno di speranza. Ne abbiamo parlato con Joe Mateo.
Blush veicola un messaggio di speranza, che segue una profonda esperienza di perdita. Perché hai scelto di focalizzare la tua attenzione sulla speranza anziché esplorare la condizione della perdita?
Questo cortometraggio è stato una forma di terapia, in un momento della vita piuttosto oscuro e di grande sconforto, dovuto alla perdita di Mary Ann, la donna che amavo e la mia compagna nella vita. Insieme avevamo raggiunto il nostro sogno americano: una famiglia, le opportunità di lavoro e successo, una bella casa. Sembrava non mancarci nulla e la sua malattia è stata destabilizzante, perché ha inaspettatamente incrinato la nostra bolla di felicità. Nel momento in cui ho sentito la necessità di raccontare questa storia, non ho voluto dimenticare i periodi bui che ho attraversato, ma ho scelto di concentrarmi su un messaggio di speranza, perché la guarigione è sempre possibile quando c’è l’amore. È stato grazie alle mie figlie, alle persone care, che sono riuscito a superare questa crisi, ritrovando un nuovo equilibrio. Dopo questo periodo terribile che abbiamo vissuto, di blocco, molto simile a quello in cui mi sono trovato da un punto di vista personale, ho ritenuto opportuno veicolare un messaggio positivo, comunicando ad altre persone che è possibile uscire dal dolore, tornando ad essere felici.
Che cosa rappresenta per te il sogno americano e in che modo l’hai visualizzato nel cortometraggio?
Tutto quello che ho! Il lavoro, la famiglia, le opportunità che mi sono state date per realizzarmi. Sia io che Mary Ann avevamo alle spalle una storia di migrazione, farcela non è mai stato scontato. Però grazie a lei sono riuscito a uscire dalla mia zona di comfort, imparando a guidare la mia vita fino a quando ho ottenuto quello che desideravo. Ho cercato di tradurre sul piano narrativo questo percorso in Blush, dall’incontro con la visitatrice aliena alla scena in cui la famiglia gioca nello stagno e le bambine ridono spensierate. Ricordo di aver vissuto quel momento, un giorno nella nostra piscina in giardino.
Il respiro è una metafora dell’amore. L’astronauta ha bisogno di respirare in questo pianeta inospitale, esattamente come le piante di cui si occupa. Tornando alla tua vita, che cosa ha rappresentato l’assenza di aria?
Il trauma per la morte di Mary Ann. Lei era il mio ossigeno, così come lo è Blush, la visitatrice. La prima volta che ho avuto un attacco di panico, dovuto al questa condizione di sofferenza e smarrimento che non ero preparato ad affrontare, mi è mancato il respiro e ho cercato di tradurre questa sensazione nel cortometraggio.
Blush è un titolo evocativo, ma è prima di tutto un personaggio: una visitatrice aliena che ha il potere di distribuire ossigeno, favorendo la vita. Perché hai scelto questo nome?
Il personaggio femminile è ispirato a Mary Ann e alla facilità con cui arrossiva. Gli amici la chiamavano “Ketchup” ma io non lo sapevo. La prima volta che l’ho incontrata, per me è stato amore a prima vista e ho interpretato il suo rossore come un invito a farmi avanti, pensando di piacerle. Solo dopo ho scoperto che era una caratteristica della sua personalità e che succedeva spesso! (Ride). Modellando Blush su di lei, credo di averla un po’ umanizzata, rendendola unica.
Ci siamo dedicati molto alla progettazione e all’animazione di questo personaggio, c’è un momento chiave che lo iconizza: quando lei si volta e incontra lo sguardo dell’astronauta arrossendo. Doveva riprodurre ciò che è successo realmente tra me e Mary Ann, diventando indimenticabile anche per il pubblico.
L’assenza di dialogo ha consentito di dare più spazio alla colonna sonora. Ho letto che hai registrato alcune parti vocali. È stata un’esperienza importante per l’elaborazione dei ricordi e del lutto?
Lavorare sulla colonna sonora è stato essenziale per evocare una vasta gamma di emozioni: dall’innamoramento, alla gioia di costruire una famiglia, al dolore per la perdita e alla speranza nel corso della vita. Nella partitura ci sono diversi effetti sonori come respiri, sussurri e voci vere e proprie. Non sono in primo piano, volevamo che la loro presenza si avvertisse in maniera sottile. Quando Blush deve dire addio è come se l’ossigeno venisse meno a lei, ma anche all’astronauta, che si ritrova a non respirare più. In quel momento tutti i suoni riconducibili al respiro svaniscono, per essere ripresentati successivamente quando sono le figlie a restituire ossigeno al pianeta, perché lei vive nei loro cuori. In questo processo compositivo, sono stato coinvolto per registrare alcune parti vocali con le mie figlie ed è stato prima di tutto divertente, ma non sono mancati momenti più dolorosi, perché sono dovuto tornare con la memoria a quando avevo gli attacchi di panico e rievocare quelle emozioni e sensazioni per restituirle nella giusta forma sonora, anche delle lacrime, quando necessario.
– Carlotta Petracci
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