Laura Grisi, misurare l’infinito. Due video degli esordi
Si è appena conclusa la retrospettiva al Muzeum Susch dedicata a Laura Grisi, artista attiva a partire dalla fine degli anni ’60, il cui lavoro pionieristico, versatile, complesso, si è inoltrato fra temi densi di suggestioni concettuali. Pubblichiamo e commentiamo qui due dei suoi video più noti.
LA MISURA DEL TEMPO
È come se lo schermo si avvitasse su se stesso, imprimendo all’immagine una spinta circolare continua; come a dilatarsi lentamente e poi contrarsi in una sequenza ossea, muscolare, polmonare. Un respiro. Ma anche una corrente centrifuga e centripeta: la linea aperta e ininterrotta di una spirale. Laura Grisi (Rodi, 1939 – Roma, 2017), artista versatile, affascinante, non inquadrabile in categorie e correnti definite, con questo semplice movimento di camera ha disegnato la struttura formale di un piccolo video di documentazione, tra i suoi lavori più celebri: opera su un’opera, The Measuring of Time (1969) è la registrazione di una performance, esempio di corrispondenza esatta tra due piani linguistici, quello del corpo e quello filmico.
L’immagine elettronica si muove all’infinito, lungo un’ideale traiettoria circolare, e proprio intorno al senso dell’infinito si interroga l’azione dell’artista. Grisi è una figura sottile, silenziosa, perduta in una distesa di sabbia. L’immagine in bianco e nero è spoglia, lineare, nessun elemento superfluo nella narrazione. Tutto è in quel lento avvicinarsi e allontanarsi della camera, arrotolandosi e srotolandosi intorno a lei, fulcro della scena, e poi in quell’assurdo rituale senza inizio e senza fine: contare granelli di sabbia, uno a uno, incessantemente, e così cercare la misura della dismisura, accettando il brivido e lo smacco di un’impresa utopica.
Una riflessione alta, tra meditazione filosofica e delicatezza poetica, che è un viaggio mentale e simbolico nei territori dell’incommensurabile, lontani però – come in tutta la sua produzione – da connotazioni romantiche e dal senso di terrore e di meraviglia tipico dell’estetica del sublime. Il rapporto con l’infinitamente grande o l’infinitamente piccolo, una costante della sua produzione – dal rumore delle formiche in marcia alla dimensione del tempo, dal suono della pioggia alla percezione dell’arcobaleno – è affrontato qui attraverso la quiete di un gesto concreto, metodico, razionale.
Il video intero assomiglia a una vertigine, a livello visivo e concettuale. La certezza del fallimento è paradossale occasione di confronto con l’incontenibile: fallire equivale qui a sperimentare la possibilità del rischio, e dunque della rottura, di un’apertura nuova, di un rovesciamento delle logiche e degli schemi spazio-temporali. Ed è nel rapporto tra la natura a perdita d’occhio e un elemento minimo del paesaggio (il granello di sabbia) che procede quell’indagine lucida intorno all’ineffabile, all’invisibile, all’immateriale.
LA MISURA DEL VENTO
Il tentativo impossibile di dare forma all’informe ispirava anche il suo primo lavoro video, realizzato in 16 mm nel 1968, Wind Speed 40 Knots. Si tratta ancora una volta di intercettare l’energia immateriale della natura, cercando di contenerne la potenza e di trarne immagini, numeri, sequenze, geometrie. Un esercizio del senso, mentre l’occhio e la mente si spingono in là, sul bordo, al limite del linguaggio e della percezione. Se in The Measuring of Time le mani dell’artista erano strumento di misurazione, e l’unità di misura era un frammento microscopico di deserto, qui è un mezzo meccanico a coadiuvare l’azione: grazie a un rudimentale apparecchio, un anemometro, Grisi prova stavolta ad afferrare il vento e a calcolarne i parametri, pressione e velocità. In certe scene è invece attraverso la semplice registrazione video che il vento trova una forma, un’immagine possibile, una sostanza visibile e udibile. L’obiettivo immortala, vivifica e insieme fissa i contorni del divenire.
L’opera è concepita come un taccuino, composto da brevi e rapide apparizioni, per lo più riprese con camera a mano intese come appunti di viaggio: scorci di paesaggio, dettagli, vedute ravvicinate o campi lunghi. E poi i titoli di ogni micro sequenza come note sul foglio, a indicare il luogo di rilevazione, il tipo di corrente, i “nodi”: dai venti Alisei delle zone tropicali allo Scirocco dei paesi caldi del Mediterraneo, da una raffica violenta fra le vie del centro storico di Firenze al vento secco del deserto del Sahara, dal Khamsin dell’Africa centrale al Maramù del Pacifico meridionale…
Grisi, celebrata tra luglio e dicembre 2021 da una grande retrospettiva al Muzeum Susch di Surpunt, in Svizzera, così presentava il lavoro: “Nel corso dei miei viaggi ho iniziato a filmare immagini della velocità del vento e dei suoi effetti. Ho anche fatto delle misurazioni nel deserto e sulle spiagge dell’oceano. Ho studiato sia i movimenti naturali dell’aria – il vento che soffia indisturbato sulla sabbia, sul mare e sui campi, o costretto e incanalato dagli alberi di una foresta o dai muri di una grande città – sia quelli prodotti meccanicamente come, per esempio, dai rotori di un elicottero”.
Volano pagine di giornale, traballa uno specchio sul bancone di un rigattiere e la città è un frammento fuori fuoco, un riflesso malfermo; chiome di alberi si agitano, si flettono gli alti tronchi ed i cespugli, sbuffi vulcanici si confondono con banchi di nuvole all’orizzonte, fra i cieli bianchi e la roccia scura; e lungo le rotte africane tempeste di sabbia desertica travolgono persone, insetti e la scarna vegetazione. L’esperimento meteo-geografico di Laura Grisi procede per tentativi e per suggestioni, con un montaggio di immagini instabili, mosse, volatili, ancora utilizzando il linguaggio video come perfetta trasposizione visiva del tema. Un esercizio poetico, un esperimento empirico, per un’avventura concettuale vissuta tra il corpo, lo spazio, il tempo e il piano dell’immagine in movimento.
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