“Notte fantasma” è il film di svolta di Fulvio Risuleo. Intervista al regista
In sala il terzo lungometraggio dello sceneggiatore e regista romano, che vede Edoardo Pesce e un esordiente Yothin Clavenzani protagonisti di una folle notte dentro un’auto. Abbiamo intervistato l’autore
Il terzo lungometraggio scritto e diretto da Fulvio Risuleo, presentato nella sezione Orizzonti dell’ultima Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia e in sala da giovedì scorso con Vision Distribution, più che un noir è un film d’avventura, urbana ma soprattutto esistenziale. Notte fantasma racconta l’incubo metropolitano di una coppia per caso, un poliziotto al capolinea (impersonato da un Edoardo Pesce sempre perfetto nei ruoli borderline) e un ragazzo figlio di immigrati colto col fumo in tasca (Tarek, interpretato dall’esordiente Yothin Clavenzani), colpevole per la legge, ma vittima di chi la legge dovrebbe far rispettare.
Abbiamo potuto vederlo in anteprima al Cinema Filo di Cremona, alla presenza del regista. Dopo i primi due lavori, Guarda in alto e Il colpo del cane, più sperimentali, questa favola nera trasmette immediatamente la sensazione di un film di svolta, almeno nel percorso artistico di Risuleo. Non si può parlare di trilogia, ma molti elementi chiudono il cerchio di uno stile pienamente maturo. L’occasione è stata utile per discuterne direttamente con l’autore.
Sia la tua opera prima “lunga”, Guarda in alto, che Notte Fantasma presentano un volto altro di Roma, diverso dall’immaginario monumentale della Grande Bellezza. Luoghi meno conosciuti ma non periferici, il quadrante di Roma est attraversato dalla tangenziale sopraelevata, quartieri multietnici e popolari. Si sente l’eco delle borgate di Pasolini, in versione nuovo millennio, o dello Scola di Brutti, sporchi e cattivi. Qual è il tuo rapporto con la città in cui sei nato e vissuto, e come si è evoluto il tuo sguardo su di essa?
Roma è una città cui sono affezionato, ma che ho vissuto con un sentimento non costante. Non mi è sempre piaciuta, specialmente subito dopo il liceo, quando ho viaggiato e mi sono trasferito per un po’ a Parigi. Roma mi sembrava ferma, pesante, dispersiva. Eppure mi sono accorto che tornavo sempre, non sfuggivo al suo richiamo. La città, pur con tutti i suoi problemi, è diventata più viva, piena di stimoli culturali, sviluppando la sua anima underground, che poi è la dimensione che più mi affascina e attira. E questa sua scena alternativa è andata crescendo soprattutto nelle zone in cui ho ambientato i miei film, i quartieri degli studenti, San Lorenzo, il Pigneto fino a Piazza Vittorio. Non è la Roma ministeriale e ufficiale, ma è questa parte di città – che a chi viene da fuori sembra quasi “orientale” – quella che conosco meglio. Una curiosità: l’inizio di Guarda in alto si trova a 150 metri dall’inizio di Notte fantasma, ma non è stato fatto apposta, né ho intenzione di legarmi troppo alle location. Cinematograficamente, poi, non è detto che sia più facile filmare un luogo bello che un luogo meno bello. Ogni luogo bisogna trovare il modo giusto di rappresentarlo, con la fotografia adatta, senza avere paura di evidenziarne i difetti che anzi possono essere molto cinematografici – come la tangenziale est, appunto.
Questo tuo sguardo sulla città si lega al tema del labirinto: negli stessi due film i percorsi dei personaggi sono una fuga o un’esplorazione lungo percorsi tortuosi e nascosti. L’idea di una città che vive come un organismo unico, in cui tutti i luoghi sono connessi in un qualche modo che non ci si aspetta, o non si vede, è anche una riflessione sull’integrazione sociale, sul guardare Roma come una città non disintegrata, come invece si tende a considerarla oggi.
Il mio modo di conoscere e vivere una città, in questo caso Roma, ma potrebbe essere qualunque altra, è camminare, usare i mezzi pubblici, non usare l’automobile. La maggior parte del mio tempo lo passo fuori casa, per strada, da solo o con gli amici, passeggiando anche senza meta. Do molto valore alla perdita di tempo, alla vita lenta, al ritmo da Paese latino, però con tante anime ed esistenze diverse che convivono. Il mio sguardo forse è questo, attento alle cose della città, alle persone, al sociale, che nei miei film è ben presente – penso ad esempio al personaggio di Tarek, immigrato di seconda generazione ma romano a tutti gli effetti – senza comunque fare sociologia o politica.
Un altro segno distintivo del tuo cinema, che forse si lega alla poetica sulla città altra, è il rapporto con la notte, col notturno. In Guarda in alto vi è una notte alternativa popolata di personaggi eccentrici che abitano altri livelli, sovrastanti rispetto alla città di superficie. In Notte Fantasma la trama si svolge tutta in una notte, e questa unità di tempo è stata determinante sulla fotografia. Come hai costruito la tua estetica della notte?
Sono molto contento della fotografia di Guido Mazzoni, che ha illuminato molto la notte, quasi un ossimoro o una scelta demodé perché la tendenza del cinema è invece quella di sfruttare la luce che trovi, magari immagini sporche, ma che rendono un effetto documentario. Noi volevamo fare un film costruito e studiato, ma che non sembrasse teatrale. Per me questa è stata una sfida, perché prima non avevo mai girato un film di notte, a parte pochissime scene. Il mio rapporto con la notte non è come si potrebbe immaginare, non sono un tiratardi o un nottambulo come vorrei. Per me è un momento introspettivo e spesso casalingo, in cui immagino molto, anche facendomi ispirare dai rumori che sento dalla finestra, una città che vive a tutte le ore. Notte fantasma, tutta ambientata dal tramonto all’alba dentro un’auto con due persone, è una storia pienamente di fantasia, perché l’ho immaginata molto facendo le ore piccole nel mio letto.
Hai detto un’auto con due persone, anche se non è proprio una gita di piacere quello che avviene dentro e fuori quest’auto. I protagonisti sono dei “quasi amici”, un rapporto scaturito dal caso (il tram che non passa), nutrito dalla prepotenza e dall’abuso di potere, ma che evolverà nel corso egli eventi. In questo viaggio è palpabile la simpatia tra i due attori, che formano una coppia non-comica molto affiatata. La caratterizzazione dei personaggi era già tutta definita nella sceneggiatura o le riprese, e la scelta degli attori, hanno cambiato qualcosa in corsa?
Direi un 60% scritto mentre il 40% l’hanno messo gli attori. La sceneggiatura era scarna, c’erano quasi solo il dialogo e un po’ di scene. Le scelte più importanti per me sono gli attori e le location, questi hanno reso la sceneggiatura compiuta e piena. A quel punto inizia il divertimento. Gli attori danno una personalità e un’originalità a personaggi che sulla carta possono sembrare troppo semplici, ed Edoardo (Pesce ndr) per me è stata una scelta naturale, anzi ho costruito il film pensando a lui, con cui avevo già lavorato ne Il colpo del cane. Poi di lui mi piace il cazzeggio e la capacità di improvvisazione: fa molte battute pungenti e geniali, e di solito una o due finiscono nel film (in questo caso il dialogo sull’obesità). Mentre il giovane Yothin non lo conoscevo, stava frequentando un corso di recitazione, ma non aveva mai recitato. In tutti e tre i provini, di cui uno con Edoardo, è stato molto bravo e ho intuito che i due potessero trasmettere una forte simpatia reciproca, cosa che poi è avvenuta perché sono diventati molto amici e per me questo è molto importante, come persona e come regista.
Anche i bambini sono centrali nella tua opera. Sono quelli che, con la loro potente capacità immaginifica, “guardano in alto” davvero ed esortano gli adulti a fare altrettanto, ma in Notte fantasma la piccola figlia del poliziotto, pure intontita dal sonno, ha capito tutto più di suo padre.
Tutti in fondo abbiamo la stessa età, bambini, giovani, anziani. Siamo persone uguali, che provano paura, temono la morte, si innamorano allo stesso modo. L’esperienza e la conoscenza fanno la differenza e rendono le età diverse, non i sentimenti. Quando dirigo sul set i bambini, li tratto da adulti, cioè parlo con loro in modo professionale, scherzando e giocando né più né meno di quanto faccio con i miei coetanei. Funziona.
Il film peraltro è un mix naturale di durezza e tenerezza. La storia è un dramma, ma mai pesante, mai del tutto tragico. C’è anche una forte vena comica o da commedia in molte scene e dialoghi, e questa sembra essere una costante della tua filmografia. Guarda in alto è una poesia o forse un sogno (mi ha ricordato il libro Il poema dei lunatici di Ermanno Cavazzoni), il secondo film una commedia, sempre surreale, e infine questo film è drammatico, un po’ poliziesco e un po’ commedia.
Eppure, non riesco a definire il genere quando faccio o guardo un film. A me piacciono le commistioni di genere, perché la vita stessa è un insieme di generi, non solo a seconda dei momenti ma anche nello stesso momento. Anche nei lutti e nei momenti difficili ci sono persone che riescono a scherzarci sopra. Adoro lo humour nero, macabro, e trovo interessanti le contraddizioni e i controsensi. Capisco i generi dal punto di vista commerciale e di “moda”, soprattutto a livello hollywoodiano. Ma il cinema si sta liberando di queste etichette, per fortuna, come anche i libri: ormai è difficile dire di che genere sia un libro di narrativa, è una trama, non un genere. Piuttosto, quando penso o scrivo un film penso al tono, a come posso raccontarlo, non a che genere sarà.
E vi sono diversi modi di raccontare una storia, anche come medium. Tu sei pure un fumettista, ad oggi hai pubblicato quattro libri, due da solo e due con Antonio Pronostico. Come interpreti il fumetto rispetto al cinema e come li approcci in fase creativa?
Per me fumetto e cinema sono attività parallele e distinte, non li metto in rapporto l’uno con l’altro e non ci penso in modo razionale. In alcuni casi può sembrare che dialoghino tra loro, ma solo perché li ho scritti nello stesso periodo, come per L’idra indecisa disegnato mentre ero impegnato ne Il colpo del cane. In questi casi mi ritaglio un paio d’ore al giorno per disegnare, dopo aver lavorato al film, ma non sono uno stakanovista e, anzi, preferisco lavorare intensamente piuttosto che tante ore al giorno. Il grosso del mio tempo lo riservo al vagare della mente, che poi forse è anche il principio e la fonte dei miei racconti.
Ad alcuni sembrerà una scelta controcorrente, perché tanto cinema, soprattutto recente, nasce e si ispira al fumetto, anche come estetica.
Oggi ci sono le “graphic novel”, ma purtroppo la parola “fumettistico” in italiano ha un’accezione negativa. Per me non è negativo ovviamente, ma il senso comune della parola è “caricaturale”, ovvero si estremizzano determinati aspetti e caratteristiche fisiche per esaltare tratti anche caratteriali, e questo dipende molto dallo stile del disegno. Il mio fumetto non è caricatura, ma è un linguaggio che si muove nel rapporto tra testo e disegno. Mi riesce difficile pensare che il cinema e il fumetto abbiano qualcosa in comune. Ce l’hanno perché sono entrambe forme di narrazione, ma il fumetto è più vicino alla letteratura mentre il cinema ha più punti in comune col teatro, o anche con i videogiochi.
Stai pensando o lavorando a qualche nuovo progetto?
Sì, sto lavorando a un film con Simona Vinci, scrittrice che viene dal mondo della letteratura, non del cinema. Per me è una novità scrivere un film con qualcuno altro sin dall’inizio. Per ora posso dire che avrà scene di terrore ed elementi di fantascienza, sarà un film cupo ma anche classico, che potrà avere qualcosa di vicino ai film più noti della storia del cinema dell’orrore, della fantascienza o del mistero.
Notte fantasma insomma, sta facendo da apripista…
Forse sì, ma stavolta forse uscirò dai binari del realismo. Siamo ancora all’inizio e non so esattamente dove porterà, penso ci vorranno un paio di anni, ma il progetto è partito.
E c’è da scommettere che, come Notte fantasma, la nuova opera si ritaglierà uno spazio di rilievo nel panorama cinematografico italiano, confermando Fulvio Risuleo come un autore tra i più interessanti della sua generazione.
Marco D’Egidio
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