La Spagna regolamenta le pubblicità per i bambini. Ecco lo spot sull’equità di genere
È dibattito intorno al mondo dei minori e alle scelte della pubblicità: in Spagna un nuovo codice promuove l’eguaglianza tra maschi e femmine, ma anche la lotta al bullismo, il pluralismo e il rispetto delle minoranze.
Perenne pomo della discordia, il famigerato “politically correct” è terreno sempre
fertile di battaglie progressiste e di conflitti culturali, fra l’attenzione sacrosanta per il piano dei diritti civili e dell’inclusione sociale (che passa anche dalle evoluzioni delle forme e dei linguaggi), la miopia di chi ne nega l’importanza e certe degenerazioni ideologiche che a tratti ne snaturano il senso. E mentre in Italia l’appena insediatosi governo Meloni – nato sotto la sbandierata triade “Dio, Patria e Famiglia” – inaugura un clima dichiaratamente orientato al conservatorismo, che se non sottrarrà spazi di equità e di libertà, certo non ne conquisterà di nuovi (vedi adozione per single e coppie omogenitoriali, legge sull’eutanasia, introduzione dello ius culturae, insegnamento dell’educazione sessuale a scuola), nella Spagna di Pedro Sánchez il clima è decisamente un altro.
UN NUOVO CODICE PUBBLICITARIO IN SPAGNA
Un esempio arriva dal campo della comunicazione pubblicitaria, con specifico riferimento al mondo dell’infanzia. Al centro della discussione pubblica c’è il nuovo codice di autoregolamentazione per la pubblicità di giocattoli, firmato dal Ministero dei consumatori, dall’Associazione spagnola dei produttori di giocattoli (AEFJ) e dall’Associazione per l’autoregolamentazione della comunicazione commerciale (Autocontrol), entrato in vigore lo scorso 1 dicembre. Un documento composto da 64 punti, che costituisce un atto d’indirizzo per chi si occupa di ideazione, sviluppo, produzione e diffusione di campagne pubblicitarie rivolte ai minori di 15 anni, fascia d’età più vulnerabile rispetto a contenuti insidiosi, seduttivi, ambigui, scorretti.
Si punta allora alla realizzazione di spot egualitari, veritieri, inclusivi, costruttivi, in quanto a messaggi e linguaggio. Completa e complessa l’articolazione delle regole, in continuità con il codice deontologico precedente, ma con alcune novità. Andranno evitate false aspettative, garantendo che le presentazioni dei prodotti siano fedeli alla realtà (ad esempio non intervallando immagini reali e fiction animate); viene disciplinata la comparsa di personaggi popolari tra i bambini, che siano reali o fittizi (influencer, presentatori televisivi, protagonisti di serie tv, cantanti o sportivi), con lo scopo di sollecitare l’acquisto del prodotto per le sue effettive caratteristiche, e non perché identificato con il testimonial (art. 20); particolarmente significativo l’articolo 15 che condanna spot in cui gli adulti che offrono i giocattoli pubblicizzati appaiano migliori o più generosi, così come non dovrà essere associato “l’acquisto del prodotto a un maggiore affetto o accettazione sociale nei confronti del minore”, né dovrà essere incoraggiato “l’accumulo compulsivo di giocattoli”. Una sezione importante è infine dedicata alle nuove tecnologie e all’accesso ai dispositivi hi-tech da parte dei minori, ancora in senso tutelativo ed educativo.
STEREOTIPI DI GENERE, PLURALISMO, INCLUSIVITÀ
Ad accendere gli animi, in particolare, le norme rivolte all’annullamento degli
stereotipi di genere, superando l’atavica distinzione tra giocattoli per
bambini e bambine, a favore di una cultura plurale ed egualitaria. Negli articoli 35 e 37 del capitolo XI, dedicato al tema “Educazione e valori civici”, si raccomanda di archiviare spot in cui i giochi per lei presentino associazioni esclusive a ruoli di “cura, lavori domestici e bellezza personale”, mentre non saranno solo i maschietti a vedersi proporre giochi che promuovano “la sperimentazione, l’attività fisica o lo sviluppo tecnologico”. Basta con la ragazzina infermiera, stilista o make up artist e con il piccolo chimico, meccanico o calciatore: che l’immaginario dell’infanzia si popoli anche di stimoli differenti e di visioni ribaltate rispetto ai cliché obsoleti. Definitivamente abbandonato il ricorso alla palette dei rosa-fucsia per le bimbe e dell’azzurro per i bimbi. Libertà totale nel restituire colori, gusti, vocazioni, propensioni, curiosità, agli uni e alle altre.
Per molti un esempio da seguire, per alcuni solo un eccesso di zelo, un cappio stretto intorno alla creatività e all’autonomia dei pubblicitari (mentre sul fondo più torbido si agiterà il solito fantasma del “gender”, nel quadro di quel fantasioso piano occulto che vorrebbe sovvertire l’ordine dato e annacquare le identità). Troppa ingerenza e smania di controllo? Vincolante o meno che sia per chi deve misurarsi con il difficile terreno del marketing rivolto ai minori, il codice si rivela strumento importante di tutela e di regolamentazione. Purché equilibrio, varietà e naturalezza restino l’obiettivo, e non finisca sotto la tagliola della censura ogni innocua pubblicità in cui una ragazzina si gode le sue Barbie (esattamente come il pargolo potrà cullare il suo Ciccio Bello senza che il vetero machismo di stampo patriarcale faccia scattare l’allarme). E del resto, nel caso della Spagna, si tratta di una semplice carta di autodisciplina, utile a orientare le pratiche e le sensibilità, non di una legge con tanto di obblighi e sanzioni.
Nulla di radicalmente nuovo, in realtà. Diversi brand e produttori di giocattoli hanno già puntato, in passato, su una comunicazione che superasse l’immaginario canonico legato ai bambini e al loro mondo: basti ricordare – ma è solo un esempio su tanti – lo spot nato da una collaborazione tra Moschino e Mattel, in cui a giocare con delle Barbie griffatissime erano due bambine (una bianca e una nera, come le bambole) e un maschietto. Inclusività, in chiave femminista e antirazzista. Andando ancor più indietro, fino al 1981, torna alla mente la campagna Lego What it is is beautiful, in cui, insolitamente, era una bimba a prestare il suo volto per la pubblicità dei mitici mattoncini Lego: un chiaro segnale a sostegno dell’empowerment femminile, contro il pregiudizio che vorrebbe le ragazze poco inclini alle attività meccaniche, tecniche, scientifiche.
Tornando al documento spagnolo, questa sezione vieta poi le rappresentazioni che offrano “un’immagine sessualizzata delle ragazze, impedendo loro di apparire vestite e truccate da donne adulte e indicate come ‘sexy’ o che evocano il mandato di compiacere il sesso maschile”. Anche in questo caso il tentativo è di arginare, fin dalla più tenera età, la deriva della sessualizzazione della donna e del “consumo” visivo di corpi piegati dal diktat dell’eterna bellezza e giovinezza: una deformazione del reale che è bacino inesauribile per il mercato globale.
E ancora, in tema di educazione e diritti, il testo stabilisce che “non saranno offerte immagini che incitino alla discriminazione o al trattamento vessatorio delle minoranze” (art. 36), non dovranno essere inclusi “linguaggio osceno, né scene che fare riferimento a comportamenti di dipendenza o che incoraggiano la discriminazione per qualsiasi motivo: etnia, disabilità, genere…” (art. 34), specificando che andranno escluse “immagini o situazioni che possano incoraggiare situazioni di violenza o bullismo” (art. 38).
LO SPOT: PROTAGONISTI I GIOCATTOLI
A supporto del tema più “caldo” – quello sui giochi genderless – il web e le tv spagnole hanno lanciato uno spot, ben fatto ed incisivo. Spot politico, nella forma e nella sostanza, che affida a un summit di personaggi-giocattolo la questione della differenza di genere. Su una tribuna si alternano bambole, pupazzi, robot, con i loro comizi indirizzati al popolo dei balocchi, che a un certo punto esplode tra applausi e urla di approvazione. Lotta dura contro gli stereotipi, rivendicando – essi stessi – di voler appartenere al mondo dei più piccoli, senza sciocche distinzioni di sesso. Rivolta di categoria, nel nome di una ludocrazia progressista. “Anche se siamo di plastica o di peluche, abbiamo un cuore”: è il momento di rivendicare il proprio diritto a giocare col “100% dei bambini”. Maschi e femmine. Niente più rinunce. “Eliminare il sessismo e i ruoli di genere” è la sfida lanciata dai guerrilla-toys al grido di “Equità!”.
Geniale l’idea di attribuire agli stessi giocattoli l’esigenza di esistere per tutti, di dare gioia e divertimento in modo paritario, manifestando – con la loro purezza non umana – l’insofferenza per un conformismo privo di logica, incomprensibile. I bambini, dall’ideale prospettiva di un giocattolo, sono tutti uguali. Un modo per conferire loro, tramite l’immaginaria coscienza politica di un pupazzo, il potere di smontare distorsioni e stratificazioni che la cultura ha tramandato, penalizzando sia gli adulti che i bambini stessi. “Giocare non ha genere” è il claim che chiude lo spot. E il tema del gioco e dell’infanzia resta, naturalmente, metafora della società stessa e suo specchio sottile, delicato.
Helga Marsala
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