La Tonnara Camparìa a Favignana diventa un museo. Un documentario evoca la sua storia
Il prossimo 5 luglio a Favignana la Tonnara Camparìa dei Florio tornerà a nuova vita con l'apertura di un museo. La sua storia unica è raccontata in un documentario. Il trailer
Un tempo, alla Tonnara Camparìa di Favignana, il fruscio del mare era sovrastato dalle ciamole, i tipici canti intonati dai tonnaroti intenti nella mattanza.
“Na Sarviriggina a Matri ri Diu ri Trapani, na Sarviriggina a Matri ri Diu u rusariu, na Sarviriggina a Matri ri Diu u Carvariu” e appena affioravano i pesci dall’acqua “Aja mola e vai avanti, Aja mola, aja mola” e ancora “Assumma coppu, gnanzu’gnanzù nzou, putiri, gnanzù nzou zza, ancurari, gnanzu’ nzou zza, Diu nni scanzi”.
La Camparìa, tra vita e morte
Vita e morte, acqua e sangue, uomini e pesci, qui tutti erano in lotta per la sopravvivenza – il nome Camparìa deriva proprio dal fatto che questo luogo“dava da campare” alle famiglie che nei mesi caldi trovavano impiego.
La tonnara è perciò stata in passato un luogo mistico e profano insieme, dove il rais, come un direttore d’orchestra, orientava le barche e i marinai a lavoro nella “camera della morte”, in cui i tonni venivano accerchiati per essere arpionati e issati in superficie.
La Tonnara Camparìa di Favignana e il suo museo
L’ultima mattanza alla Camparìa di Favignana, la più importante dell’impero commerciale dei Florio, si è tenuta ormai quasi vent’anni fa, nel 2007.
Da allora questa cattedrale nel mare è caduta in abbandono, finché non è stata trasformata in una monumentale sede museale ed espositiva dal nome CAMPARÌA, Museo dei Magazzini della Tonnara Florio, la cui inaugurazione è prevista per il prossimo 5 luglio 2024.
La struttura ciclopica della Camparìa – che si estende su una superficie coperta complessiva di 2500 mq e scoperta di 3500 mq – è costituita da una grande sala a tre navate e dalle antiche strutture di rimessaggio, le cosiddette trizzane, con archi a sesto acuto in pietra arenaria, che le conferiscono un aspetto sacrale.
Qui un tempo, durante l’inverno, si preparavano chilometri di reti, si disponevano boe, cime e ancore necessarie affinché la pesca desse i suoi frutti.
Tutto questo repertorio artigianale è stato recuperato e allestito dall’artista Enzo Rinaldi, insieme a carte e documenti storici e all’a’eccezionale Lancia di Donna Franca Florio, realizzata dai mastri d’ascia inglesi intorno alla fine del XIX secolo, sullo stesso disegno delle antiche baleniere.
Il documentario “La Camparìa”
A documentare questa trasformazione della tonnara di Favignana è la regista Simona Bua che tre anni fa ha realizzato il film La Camparìa. Il documentario entrerà a far parte della collezione permanente del nuovo museo e sarà proiettato durante la serata inaugurale.
Prodotto da Melqart Productions, La Camparìa condensa in venti minuti il lavoro minuzioso di Enzo Rinaldi, primo incaricato a invetariare gli oggetti presenti nella tonnara abbandonata, che grazie a quelle testimonianze inermi, è riuscito ad evocare le storie che lì si sono svolte.
Ad intervallare il flusso del film c’è l’incursione di filmati d’epoca, che ritraggono la vita alla tonnara, con i preziosi racconti di chi qui ha lavorato. Come Clemente Ventrone, che con i suoi occhi azzurri e i capelli bianchi arruffati, spiega la scritta sul muro “1983. 854 tonni”: “Questo è stato l’anno in cui abbiamo cominciato a prendere pochi tonni”.
È sempre lui a rivelare come bombe di profondità risalenti alla Seconda Guerra Mondiale venissero liberate dal tritolo e utilizzate come galleggianti, o come le ciamole servissero a dare il ritmo alle centinaia di tonnaroti che dovevano issare le reti insieme, come una grande famiglia.
Il documentario si chiude proprio sulle note dei canti invocatori e propiziatori degli operai, che ancora un’ultima volta si innalzano sotto gli archi di questo luogo sacro, esempio unico di archeologia industriale e custode di tante storie affscinanti.
Roberta Pisa
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