Voce del verbo “fotografare”: intervista al filosofo Rocco Ronchi
La fotografa Silvia Camporesi ha incontrato il filosofo Rocco Ronchi riflettendo sul legame che intercorre tra fotografia e filosofia. Ecco il video
Da quando mi occupo di fotografia, spesso mi viene chiesto che relazione ci sia con la filosofia, ed io rispondo sostenendo che quest’ultima è un’onniscienza, uno scrigno che contiene sapere; pertanto un filosofo ha gli strumenti per affrontare qualsiasi tema.
Forte di questa convinzione, a distanza di molti anni, ho voluto interrogare il filosofo Rocco Ronchi (Forlì, 1957) su alcune questioni relative alla natura delle immagini e ne è venuta fuori una conversazione densa di spunti di riflessione.
La nascita del verbo “fotografare”
In questo breve video, estratto da un’intervista di un’ora e mezza, abbiamo parlato della prima volta in cui nella storia viene usato il verbo “fotografare”: la vicenda, raccontata da Didi Hubermann nel libro La conoscenza occidentale, narra dell’eremita Filoteo il Sinaita (vissuto fra il IX e il XII secolo in una grotta sul Monte Sinai) che, in un atto estatico di preghiera mistica, chiede che la luce di Dio si imprima sul suo corpo.
Riflettendo sull’essenza di questa preghiera, in cui il corpo desidera farsi calco di Dio, Ronchi sostiene che la fotografia nella sua intenzione originaria, così come nella sua utopia, vada al di là della dimensione rappresentativa, per divenire invece pura rappresentazione.
Fotografia come filosofia secondo Rocco Ronchi
Questo ideale insito nella materia, avvicina la fotografia alla filosofia: il senso originario della filosofia era un senso etico, ovvero incarnare la verità, non rappresentarla, così come la fotografia, nella sua origine mistica, anela ad essere l’oggetto (il corpo arso dalla luce di Dio) e non solo a rappresentarlo.
Silvia Camporesi
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