Galan tira fuori gli attributi: gli introiti della cultura restino al Ministero. Sì, ma Giulietto Tremonti che ne pensa?
Forse sarà perchè fare bella figura venendo dopo Bondi non è propriamente un’impresa titanica. Fatto sta che noi di Artribune – e non solo noi, in verità – abbiamo fin da subito salutato con accenti positivi l’arrivo di Giancarlo Galan al Ministro per i Beni Culturali. Ed i primi atti concreti – per quel che […]
Forse sarà perchè fare bella figura venendo dopo Bondi non è propriamente un’impresa titanica. Fatto sta che noi di Artribune – e non solo noi, in verità – abbiamo fin da subito salutato con accenti positivi l’arrivo di Giancarlo Galan al Ministro per i Beni Culturali. Ed i primi atti concreti – per quel che possono valere un paio di mesi di operatività – ci permettono di continuare ad essere un filino ottimisti.
Atti che hanno avuto un inquadramento strutturale questa mattina, mercoledì 13 aprile, in Senato, dove Galan era chiamato a illustrare le linee programmatiche del suo dicastero. E già la determinazione e la lucidità nell’individuare le criticità, e nell’indicare le strade per tentare di alleviarle, se non superarle, segnano una cesura con la precedente sconfortante esperienza.
In Italia serve un Piano Roosvelt per la cultura, è stata la sintesi che hanno sottolineato molti media. “L’Italia per crescere deve contare sulla sua autentica natura – ha dichiarato Galan -; deve saper investire e impegnarsi su ciò che le è più proprio. La cultura è la benzina che ha reso unico il nostro Paese, il settore che più ci ha arricchiti e fatto crescere nei millenni. Investire in questo campo non è indispensabile; è fondamentale”. Fin qui belle parole, molto berlusconiane, noterà sicuramente qualcuno. Ma a queste il ministro ha fatto seguire un primo piano di settori di intervento, tracciato con chiarezza, se non nei dettagli operativi.
Qualche esempio? Presto una convocazione del Cipe per reperire le risorse necessarie per “opere importantissime come il palazzo del cinema di Venezia, l’auditorium di Firenze e il museo archeologico nazionale di Reggio Calabria”, come riporta Il Sole 24 Ore. Oltre che per la grande Brera a Milano. Una mozione forte anche sul fronte della capacità di spesa: “non servono più soldi, ma capacità di spendere”. Con un riferimento ai fondi comunitari a disposizione per il quinquennio 2007-2013, una delle note più dolenti della gestione Bondi: “su più di 31 miliardi ne sono stati impegnati solo il 16% per cento e spesi solo il 9%”. Non sono mancati riferimenti all’impegno sui fronti del paesaggio, della questione Pompei, degli sgravi fiscali per i privati.
Fino ad una sorta di slogan capace di vellicare anche l’orgoglio dei depressi addetti italici: “Intendo proporre a breve che gli introiti dei musei e dei siti archeologici statali rimangano al ministero dei beni culturali”. Invece di confluire nel calderone del Tesoro, come da norma della legge finanziaria del 2008 del Governo Prodi. Che finalmente Tremonti abbia trovato al San Michele un osso duro da digerire?
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