La Biennale è mia! Sgarbi contro tutti alla conferenza stampa di presentazione del Padiglione Italia. Cronaca di un circo annunciato… Aggiornamento due di tre
Circolavano molti interrogativi alla vigilia della conferenza stampa di presentazione del Padiglione Italia alla Biennale di Venezia. C’era, soprattutto, legittima curiosità per le dichiarazioni di Vittorio Sgarbi, all’indomani del balletto dimissioni-non dimissioni a cui abbiamo assistito nei giorni scorsi. Qualcuno si chiedeva addirittura se l’iracondo curatore si sarebbe presentato. In una Sala dello Stenditoio neanche […]
Circolavano molti interrogativi alla vigilia della conferenza stampa di presentazione del Padiglione Italia alla Biennale di Venezia. C’era, soprattutto, legittima curiosità per le dichiarazioni di Vittorio Sgarbi, all’indomani del balletto dimissioni-non dimissioni a cui abbiamo assistito nei giorni scorsi. Qualcuno si chiedeva addirittura se l’iracondo curatore si sarebbe presentato. In una Sala dello Stenditoio neanche troppo affollata (pare che l’invito alla conferenza abbia circolato ben poco), l’attenzione era quindi tutta su di lui, che c’era ed era, come sempre, piuttosto battagliero. Dopo le dichiarazioni di rito dei vari rappresentanti istituzionali (Antonia Pasqua Recchia per il Ministero, Emmanuele Francesco Maria Emanuele della Fondazione Roma, Giuseppe Furlanis per il Miur, Giovanni Accolla per il Ministero degli Esteri e l’assessore alla cultura della Calabria Mario Caligiuri), che non hanno mancato di esaltare Sgarbi definendolo più volte “un genio assoluto”, la parola è finalmente passata a lui, che ha iniziato la sua perorazione da un argomento che gli è piuttosto caro: l’eros. “Perché senza l’eros non ci sarebbe l’arte”, spiega. E via con un discorso un po’ sconnesso che passa per il culatello parmense, la natìa Ferrara e la presunta esuberanza sessuale di suo nonno in tarda età. Il tutto per illustrare un progetto collaterale, quello dei “Luoghi d’Italia segnalati dal curatore”, una lista che comprende 27 luoghi di diversissima natura (dalla Cattedrale di Noto al Labirinto di Franco Maria Ricci a Fontanellato, passando per il Leoncavallo di Milano), che secondo Sgarbi sarebbe un percorso che è “parte integrante del Padiglione Italia”.
Una partenza che prende parecchio alla larga l’argomento e che ha giustamente indisposto alcuni dei giornalisti presenti, ansiosi di avere informazioni più precise sulla mostra, sulla lista degli artisti, sull’allestimento, e naturalmente anche sul budget. Alle prime proteste, l’atmosfera si scalda. “La Biennale è mia”, tuona Sgarbi, e “non accetto che nessuno mi dica come curarla e cosa scegliere.” Ovvie e legittime le proteste, molto accese, di una parte dei presenti, tra cui la giornalista dell’Espresso Alessandra Mammì, che si alza in piedi rivendicando la natura pubblica della Biennale e la presenza di soldi che vengono direttamente dalle tasche dei contribuenti. Di tutta risposta, Sgarbi lancia la prima bomba: “Non ci sono soldi pubblici”, urla, “quello che abbiamo fatto viene dalle mie tasche, da quelle di Emanuele e di Arthemisia. Io lavoro da un anno e non ho preso un soldo”. Superfluo raccontare le reazioni a questa ridicola dichiarazione, che tra l’altro smentisce quella della Recchia, di poco precedente, che parlava di un milione di Euro stanziato dal Ministero per la mostra all’Arsenale, per il compenso del curatore (“equiparabile a quello degli altri anni, ma che considera anche la complessità del progetto…”) e per l’ingaggio di Arthemisia in qualità di segreteria organizzativa (20.000 Euro la cifra dichiarata).
Ma insomma, come sarà questo Padiglione Italia? Il titolo, “L’arte non è cosa nostra” viene più volte spiegato da Sgarbi che si auto-dichiara “salvatore” dell’arte contemporanea dal suo stesso sistema, accusato di essere esclusivo, mafioso e pure un po’ ignorantello. Il curatore non risparmia nessuno, tirando frecciatine a Francesco Bonami, Ludovico Pratesi, e allo stesso Luca Beatrice, reo di aver presentato (insieme alla Buscaroli) nella scorsa edizione “soltanto 19 artisti”. Per non parlare della Giannelli, che addirittura di artisti ne aveva portati solo due (Penone e Vezzoli). “Chi decide chi è degno e chi non è degno di stare alla Biennale?”, questo il refrain di Sgarbi, ripetuto fino alla nausea. Insieme alla sua arcinota tesi sul contemporaneo, che dovrebbe essere identificato con “ciò che è del mio tempo”. Quindi non solo artisti viventi, ma anche opere del Cinquecento, cattedrali e grotte piene di culatelli (“volete mettere il culatello con Anish Kapoor o con Damien Hirst?”). A questo proposito, Sgarbi annuncia anche il ritrovamento, in data di ieri, di un’opera sconosciuta di Piero della Francesca, che, ovviamente, sarà presente in Biennale (“è nuova, non l’avevamo mai vista!”). E poi non si lascia sfuggire l’occasione di attaccare Bice Curiger sulla questione dei Tintoretti, “che non si dovrebbero spostare all’interno della stessa città soltanto per assecondare il compiacimento vouyeristico di una curatrice svizzera”.
Quindi, cosa aspettarsi dal Padiglione Italia? Chi ci capisce qualcosa è bravo. La cartella stampa è un faldone pieno di liste; centinaia e centinaia di nomi. Circa 230 per la mostra all’Arsenale (nomi segnalati da altrettanti intellettuali convocati dal curatore), e altre centinaia sparsi per le sedi regionali, le Accademie, gli Istituti di Cultura all’estero, e un’altra ventina di eventi minori, a Venezia e non. Per un totale, pare, di circa 2.000 nomi.
Per quanto riguarda l’Arsenale, il padiglione si aprirà con i “mostri sacri” per poi lasciare un grande spazio centrale al “Museo della Mafia” progettato da Cesare Inzerillo, trasportato per l’occasione da Salemi a Venezia. Il resto? Sarà affastellato presumibilmente nello spazio restante, come ipotizzato dall’architetta responsabile dell’allestimento, che parla un po’ vagamente di “quadrerie”. Tutto quello che non troverà posto, all’Arsenale o nelle varie altre sedi ancora in via di definizione (a meno di tre settimane dall’opening), Vittorio Sgarbi dice di volerlo mettere su dei “gommoni”, come ad esempio la mostra dedicata agli artisti stranieri che vivono da tempo in Italia. Viene inoltre citata un’installazione di Marco Nereo Rotelli e, per il giardino attorno al Padiglione: “un grande elmo che viene da Capua e delle sculture di pane provenienti da Salemi” (sic).
In chiusura, Sgarbi tenta, senza grosso successo per la verità, il colpo di scena. “Le liste che sono circolate sono tutte parziali. Tutti i nomi che mancano sono in un altro documento chiamato Fondo Sgarbi”. Un’altra lista? Esatto. Un documento che “era nella cassaforte della Fondazione Roma” e che comprende altre diverse centinaia di nomi. Scorrendola anche velocemente, si può notare come comprenda praticamente tutti gli artisti italiani… o quasi. E ci scommettiamo qualcosa di importante che i suddetti artisti di questo loro coinvolgimento non sanno un bel niente.
Dobbiamo ammetterlo: dopo tre ore e mezza di conferenza stampa, abbiamo le idee più confuse di prima. I nomi si moltiplicano (“e potrebbero variare”, precisano), le mostre non sono ancora tutte confermate, le sedi neppure. E non si sono messi d’accordo nemmeno su chi paga (“non scrivete sui giornali domani che il Ministero ha messo un milione perché questo milione non c’è”, urlava il Vittorio nazionale).
Infine, per gradire, i presenti ringraziano più volte Sandro Bondi per avere avuto “il coraggio” di liberare l’arte “dalla mafia della critica e dei curatori indipendenti”. E Sgarbi lo ringrazia a tal punto da aggiungerlo, in extremis, alla lista dei “selezionatori” illustri. Salvo però indicargli a priori chi chiamare: la scultrice Cordelia Von Den Steinen, vedova di Pietro Cascella.
Noi intanto, stiamo ancora aspettando una versione digitale delle famose “liste”, che pubblicheremo in versione integrale non appena giungeranno in redazione. Voi però tenetevi la serata libera, leggerle tutte sarà piuttosto impegnativo…
– Valentina Tanni
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