Che c’entra con il vetro la casetta di Erwin Wurm? Ecco la seconda edizione di Glasstress
Lì dentro, la più grande opera d’arte è lui. Adriano Berengo, mente genitrice di tutto questo tripudio d’opere e d’artisti, ci ha definitivamente convinti. La prima edizione di Glasstress, alla Biennale 2009, aveva fatto borbottare chi ancora considerava arte e vetro due lontani parenti. In questi due anni Berengo non si è fermato un attimo. […]
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Lì dentro, la più grande opera d’arte è lui. Adriano Berengo, mente genitrice di tutto questo tripudio d’opere e d’artisti, ci ha definitivamente convinti. La prima edizione di Glasstress, alla Biennale 2009, aveva fatto borbottare chi ancora considerava arte e vetro due lontani parenti. In questi due anni Berengo non si è fermato un attimo. Circumnavigato il pianeta alla ricerca di artisti e nobili istituzioni, è nuovamente atterrato a Palazzo Franchetti più carico che mai di amici, di opere, di vetro e di tutto il resto. Lo si vede anche in foto al fianco di Ai Weiwei, di Fred Wilson, di Demetrio Paparoni che, con Peter Noever, Lidewji Edelkoort e Bonnie Clearwater, ha curato questa seconda edizione che ormai tutti attendono.
La lista degli artisti è costellata da nomi che hanno segnato la storia dell’arte degli ultimi decenni quasi oltraggiosamente mescolati a nuove reclute del Centre for Contemporary Art and Glass, le opere sono realizzate su progetti inediti che lo stesso Berengo ha fatto realizzare dai suoi artigiani a Murano. Se fosse riuscito a far proiettare il colossale video di Oursler sulla facciata che il Palazzo volge al Canal Grande, avrebbe realizzato un desiderio in più; ma dagli uffici istituzionali non è arrivata l’autorizzazione. Magari la spunterà a Stoccolma o a Beirut, New York oppure a Riga, dove la mostra sta per andare. Per ora ci si goda l’esterno stupore della casetta “piallata” di Erwin Wurm e il banchetto “all white” di Magdalena Jetelova, allestito senza sedie sui pontili d’arrivo al Palazzo.
– Chiara Casarin
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