Live from abc berlin, una mostra che non è una mostra (o una fiera che non è una fiera). Ma di grande qualità: ecco le prime foto
In autunno si riparte. Ovunque. A Berlino invece no. È come se l’estate non fosse mai arrivata, forse perché il tempo è rimasto inclemente: dalla primavera si è passati direttamente all’autunno. E le gallerie han chiuso solo un paio di settimane. Dietro alle serrande serrate c’era comunque sempre qualcuno che lavorava. Sembra impossibile che si […]
In autunno si riparte. Ovunque. A Berlino invece no. È come se l’estate non fosse mai arrivata, forse perché il tempo è rimasto inclemente: dalla primavera si è passati direttamente all’autunno. E le gallerie han chiuso solo un paio di settimane. Dietro alle serrande serrate c’era comunque sempre qualcuno che lavorava. Sembra impossibile che si ricominci così, con tanta precisione e tanta qualità.
Alla sua quarta edizione abc si presenta come un ibrido fra evento galleristico e mostra curata (quest’anno da Rita Kersting e Marc Glöde). Si ritorna alla Station-Berlin, una vecchia stazione merci nelle vicinanze di Potsdamer Platz, in una zona ad alta concentrazione galleristica. Di pareti per le affissioni, non ce ne sarebbero. Ma l’architetto Jan Ulmer crea una sinuosa parete in cartongesso di ben 4 metri di altezza che, con nicchie ed aperture, si divincola ininterrottamente lungo tutto il capannone. Nessuno stand dunque: in primo piano all’abc ci devono essere gli artisti. I galleristi prendono posto fra un’opera e l’altra, su muriccioli appositamente pensati per loro. Sono distinguono dai visitatori perché hanno tutti un Mac in braccio.
Tony Matelli (Leo Koenig INC., New York) presenta degli specchi di grande formato casualmente poggiati alla parete. Son così impolverati che l’artista riesce a scarabocchiarci sopra, come sui finestrini di una macchina sporca. Miriam Böhm (Wentrup, Berlin) invece fotografa in piccolo formato delle opere ancora impacchettate e poggiate ad una parete dalla carta da parati molto corposa. Fra parete ed opere però installa prima uno specchio rettangolare, leggermente più grande delle opere. Il risultato è stupefacente per un gesto così piccolo: grazie ad un gioco di luci e riflessi, la foto si trasforma in un sofisticatissimo collage dalla ricchissima materialità. È davvero difficile riconoscere immediatamente che l’opera è una fotografia. Anche Michal Budny (Johnen Galerie, Berlin) “imbroglia”: alle prime sembra avere semplicemente dipinto un enorme rettangolo con vernice bianca molto lucida direttamente sulla parete a sua disposizione. Solo indulgendo ci si accorge che si tratta invece di nastro adesivo trasparente perfettamente applicato alla superficie. Il risultato, in tutto il suo minimalismo, è spettacolare. Gianfranco Baruchello (Michael Janssen, Berlin) lavora invece certosino e probabilmente con una lente d’ingrandimento: “Incertezza del possibile” è una filigrana di microscopiche storie disegnate in nero su carta. Da perdercisi dentro. L’orgia di acrilico, cartone, plastica e legno viene contenuta da Florian Schmidt (Galleria Suzy Shammah, Milano) graffettandoli violentemente fra loro. Riesce a formare anche una perfetta “tela” bianca. Manca però un tassello e questo fa sorgere, davanti all’opera, un senso di sconfitta nonostante l’energetico tentativo. La visita prosegue, presto un nuovo giro di impressioni…
– Micaela Cecchinato
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