Vi ricordate al vicenda di Campobasso e dei politici che volevano cancellare Blu? Beh, è finita in maniera molto diversa…
Tutto è iniziato con Blu, e con la vicenda grottesca di politici che lo volevano “imbiancare”. I resoconti di Artribunecatturarono l’attenzione di tutti i lettori, inanellando in calce ben 86 commenti. Durante l’intera estate alcuni tra i più interessanti street artists del momento sono stati ospiti del Draw The Line Festival trasformando Campobasso in una galleria permanente di arte all’aperto. L’obbiettivo? “Il […]
Tutto è iniziato con Blu, e con la vicenda grottesca di politici che lo volevano “imbiancare”. I resoconti di Artribunecatturarono l’attenzione di tutti i lettori, inanellando in calce ben 86 commenti. Durante l’intera estate alcuni tra i più interessanti street artists del momento sono stati ospiti del Draw The Line Festival trasformando Campobasso in una galleria permanente di arte all’aperto. L’obbiettivo? “Il recupero di aree degradate riflettendo su un writing consapevole”.
Se nessuno è riuscito a colpire nel segno come Blu, attraverso una perfetta simbiosi di messaggio e forma, non sono mancati pezzi di grande virtuosismo tecnico. In particolare Roa, artista belga che con i suoi animali illustra il ciclo della vita e della morte. Un’imponente carcassa di cervo diviene alimento per corvacci famelici. È tra l’altro la prima volta che Roa utilizza il colore, il rosso del sangue, mentre solitamente le sue cupe raffigurazioni appaiono in bianco e nero, come il grande topo realizzato per il Picturin Festival di Torino su una casa popolare nota per essere ricettacolo di ratti.
Dalla perfezione formale al concettuale: interessante è il murales lasciato dal bolognese Dado che si spinge fino alla destrutturazione linguistica della tag, un vero e proprio scavo all’interno dell’anima stessa del writing. Notevole anche il pezzo lasciato dal torinese Pixel Pancho tra denuncia sociale e politica: il cane dell’Eni portato in spalla da automi incappucciati, le “vecchie” potenze occidentali, diviene quasi un trionfo della morte. Questi robot dalle sembianze umane sono ormai il suo “marchio di fabbrica”. Come in Blu, alludono ad una vita sempre più meccanica e meno libera.
– Antonella Palladino
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