Dalla polemica contro le leggi anti-P2P, al video per i rivoltosi newyorchesi. La musica di protesta cambia pelle e sceglie Youtube…
È in rete da una settimana appena, e già oltre 18.500 persone hanno cliccato “play”. Un numero incredibile, se si pensa che dietro questo video, lanciato in sordina su Youtube e poi rimbalzato all’impazzata su blog, siti e social network, c’è un venticinquenne quasi sconosciuto, un rapper inglese molto polical-oriented, che risponde al nome di […]
È in rete da una settimana appena, e già oltre 18.500 persone hanno cliccato “play”. Un numero incredibile, se si pensa che dietro questo video, lanciato in sordina su Youtube e poi rimbalzato all’impazzata su blog, siti e social network, c’è un venticinquenne quasi sconosciuto, un rapper inglese molto polical-oriented, che risponde al nome di Dan Bull.
Il ragazzo aveva già fatto parlare di sé per via dei precedenti video postati sul suo canale: una videolettera dedicata al parlamentare Peter Mandelson, promotore del discusso Digital Economy Act (nuova legge britannica contro il file sharing musicale), e un’altra open letter indirizzata alla pop-singer Lily Allen, “rea” di aver sostenuto pubblicamente la “cura Mandelson al P2P”.
Ed ecco comparire di nuovo l’intraprendente discepolo di Eminem, stavolta con un videoclip assai suggestivo, tutto dedicato a Occupy Wall Street, il movimento rivoltoso che sta infiammando in questi giorni le strade di New York, sull’onda delle rappresaglie giovanili esplose in Gran Bretagna, Spagna, Inghilterra, Nord Africa.
Un mix di elementi shakerati ad hoc, che ha fatto subito centro. Alle melodie oniriche dell’indimenticabile Street Spirit dei Radiohead, Bull ha sovrapposto la sua voce, distesa in un rap cadenzato, evocativo, tra echi morbidi di dubstep. Le immagini? Tutte di repertorio, tutte in bianco e nero, rubate dai tafferugli di strada newyorchesi: scontri tra polizia e indignados, manifestazioni, street parade, arresti, pestaggi e urla di dissenso.
Il risultato funziona, sfugge alle solite categorie (né video musicale, né microfilm di propaganda, né video d’artista, né tradizionale brano a sfondo sociale) e sfrutta il potere di Internet per circolare in maniera virale. Non sono più i tempi del rock impegnato alla U2, con tanto di megapromozione da parte della major: qui si viaggia alla velocità dei bit, fedeli al sempre più efficace “do it yourself”, penetrando le maglie della rete e magari bypassando il tradizionale concetto di canzone o videoclip. Nel caos indistinto del web, capita così di riuscire pure a farsi sentire. L’inno di Occupy Wall Street adesso esiste e si chiama Wall Street Spirit…
– Helga Marsala
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