Occupy Curiger. Gli indignados tricolori si organizzano a Venezia, e partono alla conquista della Biennale
Sbarca anche a Venezia il movimento Occupy Wall Street, che dalla metà di settembre ha dato voce – ed identità socio-economica – a folle di indignados. Come il suo papà americano, raccoglie al suo interno componenti molto diverse: dallo studente al lavoratore prossimo alla pensione, dall’operaio al creativo. E in Laguna, come era già successo […]
Sbarca anche a Venezia il movimento Occupy Wall Street, che dalla metà di settembre ha dato voce – ed identità socio-economica – a folle di indignados. Come il suo papà americano, raccoglie al suo interno componenti molto diverse: dallo studente al lavoratore prossimo alla pensione, dall’operaio al creativo. E in Laguna, come era già successo a New York, la sua forza propulsiva si dà una dimensione critica anche verso i meccanismi dell’arte.
Ma andiamo per ordine: come già successo a Padova, Roma e altre città italiane, tutto parte dal sit-in di protesta di fronte alla sede della Banca d’Italia, che innesca sette giorni di assemblee giornaliere; c’è anche un incontro tra l’artista e docente Rene Gabri, il filosofo Michael Hardt e l’artista Ayreena Nastass, fra i principali animatori della piattaforma 16beavergroup (16beavergroup.org), realtà che ha avuto un ruolo rilevante negli accadimenti interni a OWS. In America si è assistito alla nascita di Occupiennale, che volutamente sin dal nome faceva riferimento alla kermesse lagunare; a Venezia altro che richiamo al format, bisognava davvero entrarci. E così è successo, tanto che nella mattina del 18 novembre 150 persone hanno ottenuto l’ingresso gratuito alla Biennale: una sorta di pellegrinaggio per i vari padiglioni, dove son state proposte letture, testimonianze che in qualche modo hanno cercato di sovvertire la visione proposta dalla cartografia biennalesca. Il tutto rilanciato dal sito globalproject, che dà alle varie occupy italiane l’eco che non hanno raccolto sugli altri media.
“Chiunque lavori nel campo dell’arte contemporanea può rilevare autonomamente come questa sia interessata a immaginari conflittuali, problematici – sostengono i ragazzi di S.A.L.E. docks, la componente più vicina al mondo dell’arte contemporanea che ha dato avvio all’occupy nella città lagunare –. La conflittualità, però, viene usata in modo strumentale; è importante non solo catturare l’immaginario della conflittualità, ma anche agire in seno a questa. Se non si dà segno di questa discontinuità, si dà solo ulteriore appoggio allo stesso sistema che tanto si contesta a parole”. La sottolineatura dell’esigenza di un’alternativa, condotta attraverso il metodo della protesta, può essere il primo step. Ora, come lavorare per incanalare quella forza verso una dimensione costruttiva? Si accettano suggerimenti…
– Giulia De Monte
www.saledocks.org
16beavergroup.org
www.globalproject.info
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