Miami Updates: satellite? Solo se serve per definizione. Fra le “altre” fiere di Wynwood District non manca la qualità, megagallery in allegato
L’Art Week di Miami è fatta anche delle cosiddette fiere satellite, che qui richiedono uno sforzo impressionante al visitatore art addict. Sono, infatti, diciassette, più o meno. Spuntano come funghi, tra un hotel e l’altro, tra un magazzino abbandonato ed un tendone. Si collocano in due ambiti separati ben definiti. Uno è Miami Beach, of […]
L’Art Week di Miami è fatta anche delle cosiddette fiere satellite, che qui richiedono uno sforzo impressionante al visitatore art addict. Sono, infatti, diciassette, più o meno. Spuntano come funghi, tra un hotel e l’altro, tra un magazzino abbandonato ed un tendone. Si collocano in due ambiti separati ben definiti. Uno è Miami Beach, of course, dove si situa Art Basel, l’altro, invece è il Wynwood District, prossimo al distretto del Design, dove si trovano Art Miami, Seven, Fountain (ma anche Zone Art Fair e Red Dot) e, se camminate fino in fondo, Pulse.
Di Art Miami vi abbiamo già detto. Per ciò riguarda Pulse – 90 le gallerie internazionali che scelgono di parteciparvi – l’organizzazione ha senz’altro scelto di creare una fiera che dimostri al collezionista solidità, ma nel contempo una buona attenzione alla creatività alternativa ed emergente, con un certo pizzico di fighetteria. Perciò molti, a volte troppi video, grandi installazioni anche di giovani artisti, nuovi media, all’interno di una cornice compatta e ben curata. E se qualcuno si lamenta che ha venduto poco, senza sensazionalismi, il clima generale sembra essere positivo. Da segnalare l’installazione speciale di Teresa Diehl per la galleria di Francoforte di Anita Beckers, ed i video di Ciprian Muresan nella sezione Pulse Play. Vi invitiamo, inoltre, dopo i vostri mille giri, ad accasciarvi sulle amache che trovate all’ingresso, nel giardino esterno.
Clima tutto diverso da Fountain, che trova sede in un ex magazzino riadibito per l’occasione. Street art, nuovissimi media, installazioni poppeggianti(da non perdere il distributore automatico di Coby Kennedy che vende mitragliatrici invece delle consuete bibite) con un gusto molto newyorkese (d’altronde la fiera viene dalla Grande Mela) rappresentano il tenore generale dell’iniziativa che pur cercando di essere alternativa a tutti i costi non risulta stucchevole. Tutt’altro. Offre la possibilità di scoprire artisti interessati in un’atmosfera rilassata, quasi laboratoriale. Che gli abbia giovato in termini di mercato è ancora tutto da vedere. Stando a Marianne Nems, dell’omonima galleria di New York, con una selezione interessante di street artisti, le cose non sono andate niente affatto male.
Infine, da Seven si ha la sensazione di essere a metà tra una grande mostra ed una fiera d’arte. Sono Hales Gallery, Pierogi, Ronald Feldman Fine Arts, P.P.O.W, Winkleman Gallery, Bravin Lee Programs i fautori di un’iniziativa che poteva essere, se più spericolata e portata agli estremi, molto più interessante, e che invece nella sua forma ibrida rischia, ad un secondo giro di stancare. Tuttavia, non mancano i motivi per tornarci, dall’installazione di Richard Slee, fatta di martelli di ceramica che raccontano il tema della bellezza fragile, a Ward Shelley che con il suo Fluxus Diagramma ricostruisce la vita del movimento da John Cage ad oggi. Ovviamente, il pericolo dell’accrocchio si trova sempre dietro l’angolo.
– Santa Nastro
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