Madrid Updates: “questa fiera ci fa sentire clienti”, dicono i galleristi. Ecco qualche idea da copiare per gli organizzatori italiani

Di vendite quasi non vogliono parlare, i galleristi italiani ad Arco. Non perché siano andate male, anzi: a qualcuno bene, a qualcuno meno, a qualcuno così e così. Ma non è quello il punto, affermano. Quello che vogliono sottolineare è l’organizzazione della fiera che, se paragonata alle nostre kermesse, fa vergognare. Sono parlo testuali, non […]

Di vendite quasi non vogliono parlare, i galleristi italiani ad Arco. Non perché siano andate male, anzi: a qualcuno bene, a qualcuno meno, a qualcuno così e così. Ma non è quello il punto, affermano. Quello che vogliono sottolineare è l’organizzazione della fiera che, se paragonata alle nostre kermesse, fa vergognare. Sono parlo testuali, non interpretazioni nostre. Ma quali sono questi accorgimenti che fanno percepire in maniera così premiante Arco rispetto alle fiere nostrane? Vediamo alcuni esempi che siamo riusciti a intercettare:

Una vip lounge bellissima. Non solo bellissima, ma economicissima. Ne parliamo quest’oggi anche in un articolo a parte, dove potete apprezzare una fotogallery: pancali industriali uno sopra all’altro, cuscini Ikea (sponsor), ottima illuminazione. Due lire di spesa per uno spazio che risulta davvero gradevole, niente a che spartire con le nostre vip lounge che fanno tristezza. “Possibile che dobbiamo pigliare lezioni di design dagli spagnoli” si dispera un gallerista. Che aggiunge: “qui riescono a fare una sala vip praticamente a costo zero, solo mettendo a frutto entusiasmo e idee, da noi non si può: devi far lavorare le ditte degli amici degli amici che ti chiedono 300 euro per metter giù due cubi laccati e qualche luce”.

La qualità del cibo. Anche questo aspetto non è una fissazione di Artribune: tutti i galleristi ce lo hanno ripetuto. “Altro che panini plastificati – ci spiegano – qui con 8 euro ho mangiato in vip lounge un piatto di merluzzo da bis”. La fiera non deve dar retta a mega appalti esclusivi. Ci sono i ristoranti del quartiere fieristico, mediocri, ma poi ci sono anche le aree ristorazione specifiche organizzate dalla fiera. In Italia pare impossibile, e se lo fai notare – ci è successo – subisci pure ritorsioni. Perché il sistema degli appalti e la miopia di chi vede il visitatore non come una risorsa ma come un pollo da spennare deve rimanere immutato.

Lo stagista in regalo. Nella sezione opening, quella che ospita le gallerie che per la prima volta sono ad Arco, gli espositori hanno avuto in “omaggio” uno stagista. Sì, uno stagista. Peraltro la fiera si è occupata di trovarlo bilingue: che parlasse lo spagnolo, per dare una mano con tutto, e la lingua del gallerista. Un’altra soluzione win-win, in cui tutti vincono. La fiera dà un servizio che non le costa niente (solo voglia, capacità di organizzare, idee), lo stagista fa una gran bella esperienza, la galleria si ritrova senza spese una figura che gli risolve mille problemi.

Un’auto a disposizione per le consegne. La fiera omaggia i signori galleristi di alcuni ticket che consentono, previo prenotazione, di avere a gratis un’auto – servizio sponsorizzato dalla Renault – di servizio destinata alla consegna a casa dei clienti (quelli che abitano su Madrid) delle opere.

I piccoli doni ogni giorno. La coppa di champagne, il vaso di tulipani (omaggio al paese ospite di quest’anno, l’Olanda), il cestino di mandarini. Cose che non costano praticamente nulla all’organizzazione, ma che fanno sentire coccolati. Ogni giorno sono passati a regalarci qualcosina.

A tutto ciò naturalmente si aggiunge la velocità e l’efficienza per ogni necessità tecnica (luci, attrezzi, allestimento). Sarà che da noi le cose sono più difficili (il paese è letteralmente bloccato e lo sarà anche dopo l’approvazione dei vari decreti, pur volenterosi, del Governo), altre magari non si possono proprio fare: provate voi a mettere dei pancali di legno in giro per tutta una fiera in Italia, dopo mezza giornata avrete la fila di gente che vuole farvi causa perché si è scheggiata un polpastrello. Sarà che tutti noi abbiamo quel pizzico in più di esterofilia. Ma ci sentiamo comunque di sottoscrivere l’appello di un gallerista, che ci sussurra: “ma perché non vengono qui e stanno quattro giorni a vedere come si lavora? Invece di andare a parlare con i galleristi per convincerli a far fiere, perché non approfondiscono l’aspetto organizzativo e la cura del cliente?”…

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