Dai giardini della Biennale al gioco della Pergola. Giacomo Costa si reinventa scenografo, per lo storico teatro fiorentino. E intanto l’antico sipario torna a risplendere
Si ride di gusto con Il gioco dell’amore e del caso di di Pierre Carlet de Chamblain Marivaux, spettacolo diretto da Piero Maccarinelli e presentato il 24 aprile in prima nazionale al Teatro della Pergola di Firenze. E ci si diverte a tal punto, che quasi ci si scorda dell’allestimento d’autore, firmato da Giacomo Costa, […]
Si ride di gusto con Il gioco dell’amore e del caso di di Pierre Carlet de Chamblain Marivaux, spettacolo diretto da Piero Maccarinelli e presentato il 24 aprile in prima nazionale al Teatro della Pergola di Firenze. E ci si diverte a tal punto, che quasi ci si scorda dell’allestimento d’autore, firmato da Giacomo Costa, uno degli italiani presenti nel 2009 alla Biennale di Venezia.
Il sipario storico – e che sipario! – fu dipinto da Gaspare Martellini nel 1828, restaurato nel 2008 e finalmente tornato alla sua funzione originaria. Lo spunto iconografico è quello dell’incoronazione del Petrarca in Campidoglio. Un tesoro prezioso che, di nuovo, risplende negli incantevoli spazi del teatro fiorentino.
Dell’opera messa in scena da Maccarinelli, il primo impatto visivo è fortissimo: nell’essenzialità dell’allestimento – due porte e quattro poltrone – lo sfondo si definisce gradualmente, in una lenta messa a fuoco da cui emerge, iperrealistica, l’immagine di un giardino fiorentino, realizzato, per l’appunto, da Costa. Poi il palco si anima e la storia prende il sopravvento. Ma che alla fine ci si scordi di quel giardino d’artista, travolti dall’energia dellao spettacolo, a Giacomo Costa importa poco. Anzi, è proprio questa la prova del suo successo: “Perché lo sfondo – sottolinea – è piuttosto una cornice emotiva per la vicenda. La classica immagine della natura distaccata, ma che al contempo stabilisce un rapporto empatico con il pubblico e i personaggi sulla scena”. Le lente dissolvenze sullo stesso scorcio del Giardino di Boboli (in gran parte reinventato) richiamano i fondali dipinti del teatro del ‘700: “Una scena piatta che crea i volumi attraverso il susseguirsi delle luci. Una scena che giunge quasi ad annientarsi, a decostruire l’impianto scenografico”.
A rendere ancor più sospeso l’inquadramento storico, giungono i costumi di Gabriella Pescucci (Oscar nel 1994), che reinterpretano i modelli settecenteschi con ironia ed eleganza. E il gioco sembra davvero funzionare, come un meccanismo perfetto celato nella sua evidenza stessa.
– Simone Rebora
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