A Monaco di Baviera l’opera lirica si celebra così. Con i corpi nudi orchestrati da Spencer Tunick. Geometrie in rosso e oro, in memoria di Richard Wagner
Ormai ne abbiamo viste tante, delle sue performance adamitiche, che niente lasciano all’immaginazione: fiumi di uomini e donne completamente nudi, radunati come masse compatte e ordinate nel bel mezzo di spazi pubblici. Singoli corpi tramutati in un unico corpo collettivo, sfidando ogni soggettivo pudore nel conforto di un anonimato declinato al plurale. Spencer Tunick è […]
Ormai ne abbiamo viste tante, delle sue performance adamitiche, che niente lasciano all’immaginazione: fiumi di uomini e donne completamente nudi, radunati come masse compatte e ordinate nel bel mezzo di spazi pubblici. Singoli corpi tramutati in un unico corpo collettivo, sfidando ogni soggettivo pudore nel conforto di un anonimato declinato al plurale. Spencer Tunick è il sacerdote, universalmente acclamato, di questi scenografici rituali, opere d’arte pubblica in movimento, che temporaneamente alterano l’aspetto dei luoghi, mettendo in scena l’osceno geometrismo di insolite dinamiche relazionali: nudità, ma senza eros né sbavature freak di stampo Seventies, nella potenza tutta estetica e spaesante di una presenza monumentale. Tra senso della meraviglia e celebrazione della dignità del corpo.
E stavolta, a Monaco di Baviera, l’artista statunitense ci ha riservato una sorpresa. Non più masse uniformi e neutre, color della pelle, ma una strabiliante coreografia di performer dipinti d’oro o di porpora. Un contrasto stridente e fastoso, per un’azione che ha coinvolto 1700 volontari, in occasione dell’apertura della stagione estiva dell’ente lirico Bayerische Staatsoper, a Max-Joseph-Platz. Il riferimento colto, per questo The Ring, è il wagneriano Anello del Nibelungo, rievocato dalla “drammaturgia” della performance. Fatevi un’idea dello spettacolare evento, guardandovi un po’ di immagini. Sobrietà, rigore, cromatismi armonici ed enfasi teatrale. Chissà, magari Wagner avrebbe gradito e approvato.
– Helga Marsala
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