Una supposta gigante per il Louvre. Wim Delvoye piazza una mega scultura fallica sotto alla piramide di vetro. Provocazioni contemporanee per il tempio francese dell’arte classica
Geniale nel saper coniugare ironia sovversiva e raffinatezza formale, provocazioni impudicamente prosaiche e preziosismi estetici senza pari. Che ricrei con una sofisticata macchina hi-tech il funzionamento della digestione, con tanto di produzione di escrementi, che arrivi a tatuare dei maiali con simboli di massa della cultura orientale e occidentale, che costruisca mirabolanti decorazioni musive con […]
Geniale nel saper coniugare ironia sovversiva e raffinatezza formale, provocazioni impudicamente prosaiche e preziosismi estetici senza pari. Che ricrei con una sofisticata macchina hi-tech il funzionamento della digestione, con tanto di produzione di escrementi, che arrivi a tatuare dei maiali con simboli di massa della cultura orientale e occidentale, che costruisca mirabolanti decorazioni musive con frammenti di affettati, Wim Delvoye scatena sempre un effetto meraviglia, legato alla contemplazione del monumentale e del certosino, della perizia artigianale e della magniloquenza scultorea.
E straordinario è, anche stavolta, il suo intervento al Louvre, una grande personale dislocata tra diversi spazi del museo: sotto la Piramide, negli appartamenti di Napoleone III, nelle gallerie gotiche del Dipartimento di arti decorative e nei giardini delle Tuileries. Ambientazioni perfette, per le stravaganze creative in salsa gotico-barocca dell’artista belga, geniale nel far rivivere stili e linguaggi del passato all’interno di una ricerca assolutamente contemporanea.
La mostra, sponsorizzata da Mercedes-Benz, ha il suo punto focale nella grande installazione piazzata di fronte la piramide di vetro. Il titolo, goliardico quanto basta, è Suppo, che arriva semplicemente da “suppository”. Un enorme monumento in acciaio alto 40 metri, dalla forma allungata, affusolata, sparata contro il cielo: un po’ missile, un po’ fallo, un po’ cavatappi, un po’… Supposta. Lavorato a laser con maestria da orafo, l’oggetto richiama le vetrate oblunghe e i campanili svettanti delle cattedrali francesi del basso medievo. Come riportato da art.info, Delvoye era assai indeciso sul nome da dare all’opera: inizialmente voleva chiamarla Doner Kebab, in omaggio alla forma del celebre panico arabo. Il Louvre, però, pare che avrebbe scartato l’ipotesi, per evitare riferimenti di tipo etnico, che avrebbero potuto risultare discriminatori. Decisamente più universale l’immagine del classico medicamento rettale.
La altre trenta opere si collocano nei vari ambienti, costruendo un percorso fatto di continui e sorprendenti rimandi, connessioni, spostamenti. Incursioni dissacranti nel tempio dell’arte classica, per un cortocircuito figlio del più affilato presente.
– Helga Marsala
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