La spending review e quel che resta della cultura di stato. Prima analisi delle conseguenze del decreto sulle istituzioni culturali italiane
Il provvedimento più importante è quello su Arcus Spa, società voluta dal Governo Berlusconi per avere mano (molto) libera su tanti denari e finanziamenti provenienti dai fondi sulle grandi opere. Si decise, nel 2004, che un 3% dei quattrini destinati alle cosiddette “grandi opere” doveva essere investito nella cultura e nello spettacolo: buono il proposito, […]
Il provvedimento più importante è quello su Arcus Spa, società voluta dal Governo Berlusconi per avere mano (molto) libera su tanti denari e finanziamenti provenienti dai fondi sulle grandi opere. Si decise, nel 2004, che un 3% dei quattrini destinati alle cosiddette “grandi opere” doveva essere investito nella cultura e nello spettacolo: buono il proposito, ma gli esiti molto meno. Qualcuno ricorda un investimento di Arcus che abbia segnato una qualche svolta culturale del paese? Eppure le risorse gestite sono state un’enormità. Un’enormità, purtroppo, sono stati gli scandali e i sospetti sulla gestione di questa società che, dunque, in ossequio al decreto sulla “spending review” verrà liquidata (entro il 31 dicembre 2013). Ma che fine faranno i soldi? Il famoso 3%? Non andranno persi, pare, ma finiranno nella gestione ordinaria del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali che, di concerto con il Ministro delle Infrastrutture, deciderà dove e come investire. Ora, però, se la capacità di investimento, di lungimiranza, di programmazione e di spesa di Arcus, che era una Spa, ha lasciato a desiderare, cosa può fare il Ministero che è un carrozzone come pochi al mondo? Speriamo di sbagliarci ma destinare quei soldi al calderone ministeriale può comportare rischi, oltre che legittimare ulteriori tagli al bilancio del ministero stesso perché “tanto avete i soldi ex Arcus”.
Altra questione che rischia di creare stravolgimenti nel mondo cultural-museale è quella della Fondazione Valore Italia. L’ente è stato commissariato qualche settimana fa, con procedure sbrigative poco dissimili a quelle utilizzate per il Maxxi. La mission della struttura, che fa parte del Ministero dello Sviluppo Economico, non di quello dei Beni Culturali, è quella di creare l’Esposizione Permanente del Made in Italy: un museo sul top della produzione italiana, dal design all’enogastronomia passando per la moda, da allocarsi nel romano Colosseo Quadrato, all’Eur. I lavori, che dovevano essere terminati da tempo, sono andati a rilento a causa di finanziamenti giunti col contagocce e ancora manca un grande ultimo appalto per completare uno spazio che ha caratteristiche uniche e che potrebbe diventare, se ben gestito, uno degli spazi più suggestivi e dunque più frequentati della città. Secondo la spending review l’attuale commissario dovrà accompagnare la Fondazione in pancia al Ministero e trovare realtà private interessate a perseguire la missione e ad organizzare l’esposizione.
Ce n’è anche per il mitologico Centro Sperimentale di Cinematografia che, con l’ingresso – anche lui – nel corpaccione del Ministero e con la sinergia sempre più stretta con Cinecittà Luce ci auguriamo possa continuare ad essere sperimentale ed anzi caratterizzarsi quanto più possibile come vera eccellenza in un paese che, quanto a cinema, dovrebbe essere secondo solo agli Stati Uniti.
Insomma, tagli e incorporazioni ma, come ormai da tradizione per quanto riguarda il Governo Monti, poche idee per lo sviluppo, pochi rischi, poca innovazione. Si potrebbe accennare, come ha fatto il Corriere della Sera, agli zero provvedimenti sul personale del ministero (in eccesso, non spostabile da sede a sede); o sugli orari assurdi di alcuni siti e musei o ancora, aggiungiamo noi, sulla mancanza di una legge quadro sulle agevolazioni per i privati che investano in cultura: proprio ora che potrebbero sopperire ai tagli pubblici, si trovano ingabbiati tra disincentivi di fatto e burocrazia borbonica.
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