No al centralismo culturale, tagli solo a chi li (de)merita. Ecco tutte le obbiezioni di Federculture al decreto della spending review
Accentuare “i meccanismi di controllo per una reale verifica dei risultati e non solamente con il taglio della spesa pubblica. È certamente indispensabile ridurre gli sprechi e le inefficienze, ma non si può procedere indiscriminatamente colpendo anche le realtà positive e che funzionano”. Si riassume in queste parole del presidente Roberto Grossi, il pensiero di […]
Accentuare “i meccanismi di controllo per una reale verifica dei risultati e non solamente con il taglio della spesa pubblica. È certamente indispensabile ridurre gli sprechi e le inefficienze, ma non si può procedere indiscriminatamente colpendo anche le realtà positive e che funzionano”. Si riassume in queste parole del presidente Roberto Grossi, il pensiero di Federculture sui provvedimenti previsti dal decreto della spending review in discussione al Senato, pensiero espresso con una conferenza convocata questa mattina – 24 luglio – a Roma all’Auditorium di Palazzo delle Esposizioni, di cui Artribune è in grado di anticipare i contenuti.
Che in sostanza, si concentrano su due idee di base: no alla centralizzazione della cultura, e no alla mancanza di discernimento nei tagli. Tutti concetti, per quel che vale, da tempo “sposati” anche da noi di Artribune. Ovviamente – per casi simili – le argomentazioni di Federculture abbondano di tecnicismi e riferimenti normativi, con puntualissimi dati sullo status quo e sull’impatto dei provvedimenti in discussione; e soprattutto sono affiancate da proposte concrete, ovvero da una bozza di emendamenti da presentare al decreto, tutto materiale che non è questa la sede per riproporre ai lettori.
Cercando tuttavia di concentrarci sui due concetti-base, si nota come l’articolo 9 “prevede, da parte delle amministrazioni locali (Comuni e Province) e delle Regioni, non solo la soppressione o l’accorpamento, ma anche il divieto ad istituire enti di qualsiasi natura giuridica che svolgono funzioni fondamentali o amministrative previste dagli artt. 117 e118 della Costituzione”. Norme, si commenta, che si tradurrebbero quasi ovunque nel “rientro nell’alveo della pubblica amministrazione (con quali mezzi?)”. Altro highlight: i tagli indiscriminati a tutte le aziende ed operatori culturali. E qui i dati sono efficaci: si annienta un sistema grazie al quale “la spesa per ‘servizi culturali e ricreativi’ delle famiglie italiane è passata da un valore pari a 10 miliardi di euro nel 1992 agli oltre 30 miliardi di oggi con un incremento del 194%. Tra il 1993 e oggi gli italiani che vanno a teatro sono aumentati del 51%, quelli che frequentano i musei e le mostre del 31% e coloro che assistono ai concerti classici del 38%”. Ovvero: non tutto è da buttare. Andrebbero fatti dei distinguo fra soggetti virtuosi e propositivi, e soggetti deficitari: tradotto, andrebbe premiato il merito. E a chi chiedere – finora inutilmente – questo, se non a dei tecnici?
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