Quando la crisi colpisce anche i big. L’Italia zoppica e il settore arte-design non sta certo benissimo. Richard Ginori chiude. Cala il sipario su un pezzo di storia del design
Difficile oggi parlare di crisi, senza rischiare di cadere in frasi di circostanza. Ma la crisi c’è e ormai pesa con macigno, investendo tutti i campi e le professioni. Non fanno eccezione nemmeno l’arte e il design, settori tipicamente ascrivibili alla categoria del “lusso”. Fallimento, dunque, è una parola con cui ci stiamo abituando a […]
Difficile oggi parlare di crisi, senza rischiare di cadere in frasi di circostanza. Ma la crisi c’è e ormai pesa con macigno, investendo tutti i campi e le professioni. Non fanno eccezione nemmeno l’arte e il design, settori tipicamente ascrivibili alla categoria del “lusso”.
Fallimento, dunque, è una parola con cui ci stiamo abituando a fare i conti. Una parola da digerire e al contempo contro cui lottare. Mentre cassa integrazione e licenziamento diventano condizioni quasi all’ordine del giorno. Un bollettino di guerra: piccoli studi che chiudono, giovani aziende costrette a bloccare la loro produzione, storie drammatiche di imprenditori che semplicemente non ce la fanno più.
Ancora più spaventosa è l’associazione di questa realtà a un grande nome, uno di quelli “famosi”. Perché se capita anche ai giganti, figuriamoci che destino hanno in serbo i pesci piccoli. Stavolta tocca alla Richard Ginori, azienda leader nella produzione di porcellane made in Italy, chiudere il suo stabilimento toscano a fine mese, lasciando a casa 80 impiegati e 257 operai, per cui chiedere una cassa integrazione straordinaria.
Poco importa se i grandi architetti del passato hanno scritto i 270 anni di storia dell’azienda, a partire da Giò Ponti, che ne è stato art director dal 1923 al 1930, dettando lo stile della manifattura, seguito poi da Achille Castiglioni, Angelo Mangiarotti, recentemente scomparso, Enzo Mari e Aldo Rossi, fino ad arrivare ai giorni nostri con l’art direction di Paola Navone. Tutto questo, ormai, è il passato. I debiti della Richard Ginori ammontano a circa 70mila euro e non c’è firma che tenga per poterli coprire.
Mentre sui blog e siti internet si susseguono rumors con i nomi dei possibili acquirenti, la più quotata è la Sambonet di Casale Monferrato, che in passato è già riuscita a rilevare e poi rilanciare la Rosenthal. Sul portale dell’azienda fiorentina, ad oggi, nessuna notizia. Sfogliando le varie sezioni, si trova ancora il motto “Arte e Design hanno un unico contorno, ma confini labili”, assieme a frasi come questa, che oggi acquistano un sapore amaro: “Richard Ginori senza l’arte sarebbe incapace di guardare al futuro perchè senza radici”.
Solo i due forni dello stabilimento di Sesto Fiorentino rimarranno accesi al minimo, assieme alla speranza che l’azienda venga acquisita da un imprenditore illuminato. Qualcuno che, oltre al profitto del marchio, voglia ancora continuare a disegnare quel sottile confine che intercorre tra arte e design.
– Valia Barriello
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