Vi ricordate la scritta Dux sul monte Terminillo? Anche Enver, dittatore d’Albania, aveva il suo tributo in stile land art. Ma Armando Lulaj s’è messo a fare gli anagrammi…
Siamo di fronte alla montagna Shpirag, nell’Albania meridionale, vicino all’antica città di Berat. Sul dorso brullo della montagna leggiamo la scritta “NEVER”, in stampatello. E la leggiamo chiaramente anche a distanza: ogni lettera è grande quanto un campo da calcio. Tutto normale? Non proprio. Fino a pochi giorni fa sulla montagna campeggiava la parola “ENVER”, […]
Siamo di fronte alla montagna Shpirag, nell’Albania meridionale, vicino all’antica città di Berat. Sul dorso brullo della montagna leggiamo la scritta “NEVER”, in stampatello. E la leggiamo chiaramente anche a distanza: ogni lettera è grande quanto un campo da calcio.
Tutto normale? Non proprio. Fino a pochi giorni fa sulla montagna campeggiava la parola “ENVER”, inequivocabile riferimento ad Enver Hoxha, dittatore albanese che, dalla fine della Seconda guerra mondiale al 1985, anno della sua morte, condannò il Paese a una grave condizione di isolamento e di repressione.
A tramutare “ENVER” in “NEVER” è stato Armando Lulaj, giovane artista albanese, figlio di quel contesto politico, diplomatosi a pieni voti all’Accademia di Belle Arti di Bologna.
Al momento della discussione della sua tesi aveva già esposto alla Biennale di Venezia, a quella di Berlino, alla Kunsthalle di Monaco e in varie gallerie.
“Una macchia di sangue rimane arancione dopo che l’hai lavata”, diceva Armando agli inizi della sua carriera, mettendo insieme i concetti di memoria e di responsabilità. Ed è anche da qui che arriva questo suo ultimo, controverso lavoro. Trattasi del cortometraggio “NEVER”, prodotto dalla casa da lui fondata, la “DebatikCenter Production, con il supporto della galleria Paolo Maria Deanesi. Un lavoro politico, uno spunto di riflessione per i giovani albanesi e non solo, un richiamo alla coscienza storica e a quella individuale.
Ma torniamo alla scritta. Quella originale, risalente al 1968, fu opera di un migliaio di persone, tra militari, studenti e filo-comunisti, protagonisti di un rito collettivo-celebrativo, un omaggio al dittatore incastonato nel paesaggio (per ironia della sorte proprio in quell’anno nasceva la Land Art americana). Nel ‘92 il nuovo governo democratico rimandò l’esercito sul monte, stavolta con l’ordine di distruggere la scritta: il risultato fu un incidente causato dall’utilizzo di tritolo e napalm. Nel ‘97 il partito comunista sborsò di tasca sua i quattrini per ripristinarla al meglio e fino a una ventina di giorni fa la si poteva ancora leggere, un po’ sbiadita ma ben visibile.
Fino a quando, cioè, il semplice scambio delle prime due lettere, realizzato da Lulaj con l’aiuto dei paesani di Paftal, ne ha radicalmente mutato il senso e l’impatto. Sostituire un nome proprio con un avverbio non equivale a nasconderlo, ma ad evocarlo, nel mistero di un anagramma e nella domanda che sorge implicita: “MAI”… Che cosa? Un rifiuto, un monito, una negazione del passato tirannico ma anche di un presente troppo corrotto.
Armando Lulaj, nel frattempo, ha ricevuto minacce da parte di nostalgici del regime, mentre sulla rivista albanese “Panorama” è scoppiata una polemica intorno alla sua presunta volontà di occultare la storia. La risposta dell’artista? Non sarà un governo o un uomo solo a rimuovere una scritta su una montagna. Il vero cambiamento, o la vera resistenza, è nelle teste di chi guarda: qualcuno continuerà a leggervi ENVER, qualcun altro, accogliendo la parola nuova, se ne dimenticherà…
– Giovanni De Donà
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