Venezia Updates: prime impressioni (e foto) dalla Biennale Architettura, versante Arsenale. Al bando il protagonismo, spazio alle visioni condivise? No, gente come Hadid o Herzog & de Meuron non ce la può fare…
Rinunciare all’autoreferenzialità in favore del lavoro condiviso. Questa la sfida lanciata ai suoi colleghi dal curatore inglese David Chipperfield per la tredicesima Biennale di Architettura di Venezia, titolo Common Ground. Una sfida che abbiamo “testato” già dai primi giri che abbiamo fatto in anteprima in quel dell’Arsenale: al bando le visioni soggettive per riscoprire elementi […]
Rinunciare all’autoreferenzialità in favore del lavoro condiviso. Questa la sfida lanciata ai suoi colleghi dal curatore inglese David Chipperfield per la tredicesima Biennale di Architettura di Venezia, titolo Common Ground. Una sfida che abbiamo “testato” già dai primi giri che abbiamo fatto in anteprima in quel dell’Arsenale: al bando le visioni soggettive per riscoprire elementi in comune e affinità con gli altri progettisti.
Ci saremmo aspettati, quindi, meno progetti individuali: e invece la storia si ripete, soprattutto per alcuni nomi eclatanti. Le grandi archistar come Zaha Hadid, Herzog & de Meuron sfruttano lo spazio a disposizione come l’ennesima monografica mostrando, nel primo caso, in modo brillante la propria personalissima ricerca o, come nei secondi, l’impatto sull’opinione pubblica di un proprio progetto di punta. Ma le sorprese ci sono, Norman Foster si unisce al filmmaker Carlos Carcas e al visual artist Charles Sandison per realizzare Gatway, un’installazione dal forte impatto visivo dove le architetture scompaiono tra le immagini della società che le vivono.
Il nostro – provvisorissimo – Leone d’oro al miglior progetto della Mostra? Lo studio sulla Torre David portato avanti dal gruppo venezuelano Urban-Think Tank e dal giornalista e critico Justin McGuirk. Un edificio di Caracas abbandonato e occupato da 750 famiglie, diventato uno dei primi esempi di slum verticale portato a Venezia per stimolare gli architetti a guardare a questi insediamenti informali come potenziali di innovazione e sperimentazione. Qui l’allestimento, intelligentemente, rinuncia al suo aspetto informativo e si trasforma in un tipico ristorante venezuelano dove ricreare l’atmosfera variegata e genuina di quei luoghi…
– Zaira Magliozzi
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