Dimissioni della Polverini. E ora come faremo senza un assessore alla cultura come Fabiana Santini e una capo commissione come Veronica Cappellaro?
E alla fine se ne andò. Una notte e un giorno intero in camera caritatis, tra incontri col Premier e consultazioni private, cercando di capire come uscire dal pantano. Mentre al telefono, bollente, continuavano ad arrivare i pressing di Alfano e Berlusconi: “Renata, resisti, se te ne vai crolla tutto!”. E la Polverini, governatrice della Regione lazio, ci aveva provato, […]
E alla fine se ne andò. Una notte e un giorno intero in camera caritatis, tra incontri col Premier e consultazioni private, cercando di capire come uscire dal pantano. Mentre al telefono, bollente, continuavano ad arrivare i pressing di Alfano e Berlusconi: “Renata, resisti, se te ne vai crolla tutto!”. E la Polverini, governatrice della Regione lazio, ci aveva provato, a resistere. Nonostante la valanga di fango che, in questa settimana di fuoco, aveva ricoperto la sua giunta e il suo consiglio, all’indomani dell’ormai (tristemente) celebre caso Fiorito. Con tutta la vergogna dei furti e degli sprechi che le autorità giudiziarie portavano a galla, scoperchiando una verità grottesca. Verità che lei, responsabile di governo, non poteva non conoscere, tanto meno poteva permettersi di non controllare: ignara, stupita, stordita, indignata? No. Complice.
Sotto i riflettori mediatici c’è oggi una Roma ladrona, sbruffona, sprecona, godereccia, crapulopoli contemporanea tutta ostriche, cattivo gusto e champagne: il “Satyricon venuto male” – per dirla con Pietrangelo Buttafuoco – di una destra che, tradendosi, finisce in mezzo a una impietosa débâcle, metafora di un Paese e di un sistema politico intero, senza distinzioni di partito o di geografia.
Dunque, Renata Polverini s’è dimessa, poche ore fa. Dopo una serie di tagli al superfluo, approvati in fretta e furia, nel tentativo di recuperare qualche grammo di dignità, la sua giunta non ha retto. Da più fronti si premeva per una uscita dalle scene. Ma la levata di scudi di Pier Ferdinando Casini – improvvisamente indignatosi dopo la strigliata giunta dalla Conferenza Episcopale Italiana – è stata decisiva: con la sfiducia dell’Udc alla maggioranza, la baracca crolla, definitivamente.
Poco male. Lo scempio di quei 14 milioni di euro che i gruppi consiliari regionali si erano regalati nel 2011 – a fronte del milione del 2010, ché di Marrazzo si può dir quel che si vuole, ma Brendona se la pagava coi soldi suoi – brucia come sale su una ferita sociale profondissima: tagli ai trasporti (142 milioni), tagli di 2800 posti letto negli ospedali, aumentato del bollo auto del 10%, aumento dell’addizionale Irpef fino al 1,73%, aumento in arrivo del 15% per i biglietti dei treni regionali.
E la cultura? Tagli anche lì, ci mancherebbe. Per 38 milioni di euro. Una sforbiciata clamorosa, per sentirsi dire, con pathos e rigore, che il sacrificio è necessario: la crisi è impietosa e le casse sono vuote. Non abbastanza vuote, però, per arginare i furti ed evitare il lievitare spontaneo e progressivo di rimborsi e indennità. La Casta costa, si sa.
Così, la regione Lazio, da stasera, non ha più una giunta. E la cultura non ha più un assessore come Fabiana Santini e una capo commissione come Veronica Cappellaro (si, lei, la bionda consigliera che fu zimbello della rete, mesi fa, per via delle improbabili interviste in cui a stento riusciva a mettere insieme due parole, pur leggendole dal gobbo). Una perdita di cui i laziali soffriranno? L’opposto, semmai. A volere raccontare che cosa abbiano fatto per il bene della cultura questi illustri personaggi, si entra piuttosto in imbarazzo. Poco o niente. A parte i tagli, è chiaro. Di riforme rivoluzionarie, potenziamento degli investimenti, riorganizzazione della macchina amministrativa e partnership d’eccellenza, non c’è giunta notizia. Il solito nulla intinto nell’approssimazione.
Nel 2010 Renata Polverini decise di apparecchiare una giunta fatta essenzialmente di figure esterne al Consiglio: una scelta costosissima in termini economici – le consulenze no, quelle non si tagliano – ma che almeno poteva servire a pescare eccellenze nella società civile, nel mondo di chi le cose le sa fare. Alla cultura, snodo strategico per moltissime regioni (si pensi all’epopea campana degli anni Novanta e Zero), occorreva mettere il miglior manager culturale a disposizione, o il miglior politico sensibile a questi temi in circolazione. E la Polverini che fa? Sceglie la Santini, la segretaria di Claudio Scajola, ex ministro Pdl cui acquistarono e restaurarono una casa al Colosseo a sua insaputa e che per questo fu costretto a dimettersi.
La fine dell’attuale governo regionale nel Lazio è una buona notizia. Non foss’altro per il disprezzo mostrato, irresponsabilmente, verso il mondo della cultura.
– Helga Marsala
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