Edicola, addio. Rivoluzione nella stampa culturale londinese: Time Out, ripetiamo: Time Out, si trasforma in freepress e punta a quintuplicare la diffusione in città

La freepress generalista e quotidiana è in crisi? Abbastanza. Ma al contrario la freepress priodica, di qualità, culturale mostra tutta la sua vivacità. E anche in Italia, ehm, c’è chi lo ha capito da una decina d’anni. Oggi pare comprenderlo anche un gigante internazionale della stampa dedicata a eventi, mostre, musei, musica, cinema, ristoranti. Time […]

La freepress generalista e quotidiana è in crisi? Abbastanza. Ma al contrario la freepress priodica, di qualità, culturale mostra tutta la sua vivacità. E anche in Italia, ehm, c’è chi lo ha capito da una decina d’anni. Oggi pare comprenderlo anche un gigante internazionale della stampa dedicata a eventi, mostre, musei, musica, cinema, ristoranti. Time Out ha annunciato che abbandonerà le edicole per trasformarsi, nella sua edizione londinese, in una freepress distribuita nelle gallerie d’arte, nelle stazioni, nei cinema, nei teatri, nei caffè.
Time Out lo fa perché stava andando male? Non propriamente. Certo, il settimanale non vendeva granché, solo (si fa per dire) 55mila copie. Sufficienti, peraltro, assieme alla pubblicità, per avere conti in utile. Tuttavia la sensazione che hanno avuto in redazione è stata quella di un cambiamento radicale delle abitudini dei lettori. I responsabili del progetto freepress di Time Out non lo dicono, ma probabilmente la rivoluzione (che è solo all’inizio) è dovuta ai tablet. Grazie a questi strumenti, ottimi compromessi tra un computer e un telefonino e assai adatti a leggere, tutta una fetta di pubblico non transita più in edicola. Il quotidiano si legge sul Samsung o sull’iPad, e così è per i newmagazine (L’Espresso o Panorama, in Italia). Sta di fatto che quella fetta di pubblico è proprio la stessa che interessa a Time Out: persone affluenti, attente, innovative, ad alto potenziale di spesa, vogliose di partecipare e di conoscere. C’era, insomma, il rischio di perdere completamente l’acquisto di impulso, non vendere più tutte quelle copie che si vendevano a lettori che erano arrivati in edicola con altri obbiettivi e che poi, magari adocchiando una copertina, decidevano di acquistare qualche cosa in più.
Time Out lo ha capito per tempo e ha deciso che l’edicola stava e sta passando a miglior vita, almeno nella impostazione attuale (ma dovunque si stanno tentando nuovi esperimenti per ora con scarso successo): ora gli obbiettivi passano da 55mila a 300mila copie. Con grandi aspettative per la crescita della pubblicità. Ma se qualcuno, un decennio fa, ci avesse assicurato che Time Out sarebbe stato distribuito gratuitamente, ci avremmo creduto?

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Redazione

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