Lido Updates: omaggio fuori concorso a Gitai senior, allievo della Bauhaus. Amos Gitai indovina il tema, ma perde ritmo. Effetto noia anche per i più intellettuali
Lullaby to My Father è il secondo episodio del distico composto nella prima metà da Carmel, che invece Amos Gitai aveva dedicato alla madre. In questo anomalo saggio/documentario gli spettatori devono mettere insieme una serie di informazioni, foto e scene per ricostruire gli eventi della vita di Munio Gitai Weinraub, architetto. Ma piuttosto che una […]
Lullaby to My Father è il secondo episodio del distico composto nella prima metà da Carmel, che invece Amos Gitai aveva dedicato alla madre. In questo anomalo saggio/documentario gli spettatori devono mettere insieme una serie di informazioni, foto e scene per ricostruire gli eventi della vita di Munio Gitai Weinraub, architetto. Ma piuttosto che una biografia completa e l’esposizione degli edifici costruiti dal padre, il regista sceglie di parlare di un periodo limitato agli anni di studio e lavoro, prima di essere costretto ad espatriare in Palestina a causa del nazismo. La struttura narrativa si compone di collage digitali, lettere lette da Hanna Schygulla e Jeanne Moreau, interviste a collaboratori.
Così si scopre che Munio è stato studente della Bauhaus di Dessau negli ultimi due anni prima della sua chiusura. Alunno dei grandi Mies van der Rohe e Walter Gropius, era uno di quegli idealisti che credeva si potesse cambiare il mondo e renderlo migliore attraverso l’architettura. Nel film sono ricreate alcune scene del processo in cui Munio è stato incriminato dai nazisti per tradimento al popolo tedesco (diffondeva volantini di contenuto comunista).
Alcune volte si ha l’impressione di vedere una pièce teatrale ripresa per la televisione. Altre volte uno sfondo perpetuo di rotaie, onde del mare ed edifici anni Trenta occupa lo schermo sotto una nenia di cataloghi di eventi. Allora mantenere viva l’attenzione è un’impresa piuttosto ardua. Si toccano anche temi più interessanti e molto all’avanguardia per quei tempi, quali, per esempio, il recupero degli edifici preesistenti e il risparmio delle materie prime. Ma senza approfondire. All’acme si arriva con la descrizione del legno, elemento tra i preferiti di Munio, e mentre vengono mostrati due artigiani al lavoro in una falegnameria, si illustra anche l’ideologia filosofica del giovane architetto.
Il film aveva un potenziale. Ma è rimasto a quello stadio purtroppo.
Amos Gitai, architetto anche lui, ha studiato in Israele per poi conseguire un dottorato a Berkeley. Tra i più considerati registi israeliani dalla critica internazionale, è venuto alla fama grazie ai film Kadosh (1999) e Kippur (2000). Nel 2005 col suo Free Zone Hana Laszlo ha vinto il premio per la miglior interpretazione femminile a Cannes.
– Federica Polidoro
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