Un noiosissimo polpettone, uno splatter ultratrash. Ma tanto qui vince il democratico botteghino: e le file superano anche le tre ore. Prime cronache dal Toronto Film Festival
La prima, lampante differenza fra il Toronto International Film Festival ed un qualsiasi altro festival europeo? È che si concentra sulla gente, e sui numeri al box office. Non esiste una vera e propria sala stampa, sono messi a disposizione in tutto 6 Macintosh, ma c’è uno spazio dedicato all’industry che smanetta sui computer 14 […]
La prima, lampante differenza fra il Toronto International Film Festival ed un qualsiasi altro festival europeo? È che si concentra sulla gente, e sui numeri al box office. Non esiste una vera e propria sala stampa, sono messi a disposizione in tutto 6 Macintosh, ma c’è uno spazio dedicato all’industry che smanetta sui computer 14 ore al giorno con file di numeri e dati. C’è un lounge molto carino dedicato ai filmakers, dove si può osservare un’enciclopedia antropologica, dal texano col bolo tie (cravattino di cuoio col cameo) e gli speroni, al rockettaro stagionato modello This Must be the Place, dagli enfant prodige di 12 anni colla filmografia che potrebbe avere De Oliveira, al papuano all’opera prima. Il fatto che non esista una vera e propria selezione, non essendoci concorsi o limiti numerici per i film proiettati, fa essere l’impianto del festival molto democratico, dando di fatto la possibilità a chiunque di presentare il proprio lavoro. Ma il sistema è altrettanto spietato. Non c’è scampo per i capolavori con bassa audience. Alcune proiezioni sono inclassificabili, cioè non si capisce a quale bacino d’utenza siano destinate.
Ieri, 9 settembre, per esempio, siamo passati da The Land of Eb di Andrew Williamson, di una noia mortale, allo splatter più trash della storia, No one lives di Ryuei Kitamura. Entrambe appartengono alla categoria suddetta, ma il secondo – avendo riempito la sala – avrà qualche chance di vendita. I cinema per il pubblico sono sparsi per tutta la città, e le prevendite sono già sold out da tre settimane, per cui chi è rimasto a bocca asciutta prova a fare delle rush line lunghe anche qualche block. Il meccanismo che le regola è piuttosto contorto, infatti o si è fortunati da ricevere un biglietto generico da qualcuno cha ha comprato un pacchetto in prevendita, oppure dopo una fila, che ha una durata variabile dai 30 ai 200 minuti, si può accedere all’acquisto dell’ultimo momento. Le proiezioni per la stampa sono concentrate in una struttura con un numero imprecisato di sale che possiede anche due o tre Imax, e se non si apprezza una proiezione ci si può trasferire altrove. Cosa che non accade di rado.
Qui vige le dura legge di mercato e non si fanno eccezioni. Ecco l’altra ragione per cui non si dà molta importanza alle anteprime mondiali di valore culturale, che si lasciano, invece, ai red carpet europei. Il tema del tappeto rosso è un altro capitolo importante, in questa sede diremo solo che è di diversa concezione, e che la parte esposta al pubblico, nonostante le foto dimostrino folle chilometriche, non supera i due o tre metri del marciapiede per accedere nel cinema. Continuano invece all’interno dei theatres dove l’accesso è riservato alla stampa e ai fotografi, previa prenotazione. Ultime considerazioni sono dedicate alle feste. In base alle nostre esperienze di un’unica serata, si può variare dal lounge post proiezione, alla festa notturna dove può accadere di tutto. Un po’ alla Spring Breakers, per intendeci…
– Federica Polidoro
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