ViennaFair 2012. Ricordate Charlot nel film “Il grande dittatore”? E il fanciullo in preghiera di Cattelan? Dalla padella alla brace… ci pensa una galleria della Cechia
Ecco qua, non c’è niente da fare. Vuoi parlare di geopolitica dell’Est Europa, e subito qualcuno evoca fantasmi del passato. Nell’occasione di una fiera d’arte caratterizzata dal superamento degli steccati ideologici, poteva mancare qualcuno che ti sbuca quasi da sotto il tavolino del gallerista mascherato da Hitler? Una apparizione – fotografica, beninteso – in chiave […]
Ecco qua, non c’è niente da fare. Vuoi parlare di geopolitica dell’Est Europa, e subito qualcuno evoca fantasmi del passato. Nell’occasione di una fiera d’arte caratterizzata dal superamento degli steccati ideologici, poteva mancare qualcuno che ti sbuca quasi da sotto il tavolino del gallerista mascherato da Hitler? Una apparizione – fotografica, beninteso – in chiave tragicomica dell’artista ceco Ondrej Brody, proposto dalla galleria Dvorak Sec Contemporary di Praga.
Sarà stato riposto lì in basso, appoggiato alla meglio sulla parete di fondo, per senso di pudore? Non ci giurerebbe nessuno dei visitatori dello stand, perché la galleria espone esche in primo piano del medesimo artista, giocate anch’esse beffardamente sulla presenza/assenza. Cose come un cane e un gatto che si fronteggiano pacificati come in una tranquilla atmosfera domestica. Sono animali veri, sì, peccato che di costoro rimanga solo la presenza macabra delle loro pellicce-tappetini con le teste imbalsamate.
E alle pareti? Beh, sorvoliamo sulle inquietanti materializzazioni di Richard Stipl, o la perturbante visione aliena di Jakub Matuska. C’è dell’altro, come il prodotto multiplo – tre soggetti identici, in forma differente – dell’artista Kristof Kintera, il quale ha fatto certamente tesoro della lezione di Koons riguardo alle sculture in lucidissimo acciaio, vieppiù al suo cuore rosso sfavillante; forse è rimasto persino affascinato dall’assemblaggio verticale delle sfere di Kapoor, lucide come specchi (Royal Accademy di Londra). Lui di tutto questo bagaglio estetico ha realizzato una sorta di sintesi, riconducendo a più congrua misura la ragione scultorea. Ha così sfornato oggetti in brillantissimo acciaio colorato – rosa, fucsia, verde – sotto forma inequivocabile di “cazzi”. Con rispetto parlando. In erezione e con le palle, si capisce!
– Franco Veremondi
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