Il logo più brutto del mondo. Sembrava uno scherzo della natura, ma stanno iniziando ad utilizzarlo per davvero. Come se Roma non avesse già i suoi problemi
Probabilmente non c’è una gara mondiale sul brand più brutto del mondo. Ma nel caso ci fosse segnalatecelo, perché abbiamo da iscrivervi un sicuro candidato vincitore, e questa volta finalmente a salire sul gradino più alto del podio potrà essere un italiano. E dimenticate gli sberleffi che pur facemmo tempo addietro al logo dell’Italia (vi […]
Probabilmente non c’è una gara mondiale sul brand più brutto del mondo. Ma nel caso ci fosse segnalatecelo, perché abbiamo da iscrivervi un sicuro candidato vincitore, e questa volta finalmente a salire sul gradino più alto del podio potrà essere un italiano. E dimenticate gli sberleffi che pur facemmo tempo addietro al logo dell’Italia (vi ricorderete l’atroce cetriolo…) concepito durante uno degli esecutivi Berlusconi. Al confronto di questo, quel brand era un lavoro di eccellenza. Qui, invece, si esagera.
E si esagera ancor più se si pensa che questo marchio dovrà rappresentare – chissà per quanto – la capitale del paese, la città più turisticamente rilevante, la più significativa e famosa all’estero. Insomma, Roma ha il suo brand turistico e questo brand turistico è qualcosa di inaggettivabile. Neppure definibile “scolastico”, neppure bollabile come “accademico”: difficile trovare appellativi per questo font a caratteri-sciolti, per questa banale stilizzazione della Lupa Capitolina (la città ha davvero bisogno di rimarcare sulla sua allure classica o magari sarebbe l’ora di connotarla come moderna capitale europea, almeno nel logo?), per quella cornicetta arancio e amaranto – i colori della città, ma troppo connotati calcisticamente per essere utilizzati con questa disinvoltura – a forma di doppia elle.
Forse siamo esagerati noi, ecco perché chiediamo il conforto di coloro, tra i nostri lettori, che sono del campo. Grafici, designer, architetti: siete tantissimi a seguirci, diteci la vostra! Fate voi il confronto tra questo e altri marchi di città! Illuminateci sul city branding, che è una cosa seria, serissima, dove chi sbaglia paga in termini di posizionamento, incoming turistico, credibilità.
Non prima però di ricordarci da dove scaturisce questo sgorbio, perché sarebbe facile (ormai è una barzelletta) dare anche questa colpa a Gianni Alemanno. Certo, il sindaco, visti gli esiti, poteva facilmente riporre il brutto brand in qualche cassetto invece di presentarlo ai quattro venti stampato su orsetti, tazze, bloc notes e magliette. Il progetto però venne partorito (abortito?) durante il periodo di Umberto Croppi, un assessore alla cultura che evidentemente ne indovinò molte ma non proprio tutte. I 40mila euro per il vincitore del bando furono consegnate ad una agenzia di Torino, ma forse era proprio il bando ad essere impostato male: la presenza della Lupa Capitolina, ad esempio, risultava obbligatoria.
Dopodiché, trascorsi due anni di oblio avevamo sperato che questa condanna fosse caduta in prescrizione fino a quando, qualche giorno fa, Alemanno ha presentato tutta la linea di merchandising: sembrano fare sul serio, qualcuno li fermi.
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