Dal deserto kazako ai traffici di droga in Cina. Il pubblico del Festival di Roma continua il suo viaggio nel cinema. Nuovi percorsi, tra Khudoijnazarov e Johnnie To
Bakthiar Khudoijnazarov non gira film. Lui scrive poesie in pellicola. Mancava dalle scene ormai da sei anni. Tanto sono durate le riprese nel deserto, che hanno coinvolto 18 paesi tra l’Europa e l’Asia. Per questa storia ha tratto ispirazione da un fatto singolare realmente accaduto: il prosciugamento del lago d’Aral tra il Kazakistan e l’Uzbekistan. […]
Bakthiar Khudoijnazarov non gira film. Lui scrive poesie in pellicola. Mancava dalle scene ormai da sei anni. Tanto sono durate le riprese nel deserto, che hanno coinvolto 18 paesi tra l’Europa e l’Asia. Per questa storia ha tratto ispirazione da un fatto singolare realmente accaduto: il prosciugamento del lago d’Aral tra il Kazakistan e l’Uzbekistan.
A Marat è successa una tragedia: ha perso la moglie e l’equipaggio in una tempesta, ma quando è tornato a casa il mare non c’era più, solo relitti arrugginiti sul fondo prosciugato. Non si cura del parere della gente, intende andare a riprendersi il mare e dunque si avvia con la sua barca, navigando nella sabbia. Waiting for the Sea ha il retrogusto dell’Atalante di Vigò e dista dodici anni dal meraviglioso Luna Papa. Con quello compone due parti di una trilogia sull’Asia centrale di cui Khudoijnazarov ha svelato l’esistenza solo in questo frangente. La delicatezza e l’insostenibile leggerezza del tocco di questo artista ne fanno uno dei maggiori autori del nostro tempo.
Nel frattempo, però, qualcuno in sala stampa ha avuto da ridire sulle scelte del direttore artistico, Marco Müller. I più vecchi, ci pare. Eppure la varietà della proposta etnologica e l’eterogeneità dei contenuti e degli stili espressivi eccitano l’immaginazione di molti tra i più giovani. E saranno stati proprio questi ultimi, plausibilmente, ad avere applaudito per un’altra scelta, forte e di qualità.
Dopo 1942 di Feng Xiaogang, il Festival ha infatti appena svelato la sua seconda sorpresa in concorso. Si tratta di Duzhan (Drug War) di Johnnie To Kei-Feung, regista di culto cinese che nella sua trentennale carriera vanta oltre cinquanta titoli e che ha concorso, negli anni, per il Leone d’Oro con Exiled, Mad Detective e Life Without Principles, distribuito anche in Italia. Duzhan, ambientato nella Cina continentale, affronta il tema del traffico di droga. Un viaggio all’interno del labirinto di mafia e traffici illegali, primo film cinese che osa parlare apertamente di droga. Un ventaglio di proposte, quello di Müller, che intriga e convince, già da queste prime battute.
– Federica Polidoro
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