Della gallerista che voleva riprodurre (per sempre e in autonomia) l’opera di un artista. E dell’artista che la citò in giudizio. Il caso Takashi Murakami VS Marianne Boesky
Il wallpaper della discordia. Takashi Murakami, re del superflat, guru di quella psichedelia pop a tinte piatte, si trova oggi in mezzo alle pastoie di una fastidiosa vicenda giudiziaria. Una di quelle cose che agli artisti accadono sovente, in verità. Ma che quando l’artista è una celebrità di tale portata, mettono qualche preoccupazione in più. […]
Il wallpaper della discordia. Takashi Murakami, re del superflat, guru di quella psichedelia pop a tinte piatte, si trova oggi in mezzo alle pastoie di una fastidiosa vicenda giudiziaria.
Una di quelle cose che agli artisti accadono sovente, in verità. Ma che quando l’artista è una celebrità di tale portata, mettono qualche preoccupazione in più. Non foss’altro che per gli zeri delle cifre contemplate, in caso di sanzione e risarcimento.
Protagonista, assieme a lui, è la gallerista di Manhattan Marianne Boesky, figlia del finanziere caduto in disgrazia Ivan Boesky. A raccontare il fatto è il Daily News, con dovizia di particolari. Secondo la testata newyorchese Murakami avrebbe citato in giudizio la Boesky per via di un’opera dell’artista – Cosmos, una carta da parati in edizione limitata, con i suoi tipici disegnini manga – che la donna avrebbe riprodotto per esporla al Metropolitan Museum of Art.
E fin qui tutto bene. Murakami aveva accettato di partecipare all’evento e proprio con quel pezzo lì. Un’opera che Boesky aveva già avuto tra le mani, nel lontano 2003: ai tempi l’artista acconsentì affinché lei facesse da tramite per la vendita a 15 collezionisti. Furono venduti 375 metri quadrati di carta, col permesso di acquistarne altri rotoli, per 150 $ ciascuno, sempre in accordo con l’autore.
Oggi, alla vigilia della mostra al Metropolitan, “Regarding Warhol: Sixty Artists, Fifty Years”, Murakami parla con la Boesky e scopre che lei aveva già provveduto a tutto, pensando di essere autorizzata a riprodurre nuove bobine, a vita, illimitatamente e senza condizioni alcune, utilizzando il file digitale originale, conservato 9 anni or sono. Allarme immediato. Per sempre? Senza limitazioni? In buona sostanza una piccola industria sforna-rotoli, che per la gallerista newyorchese avrebbe rappresentato un ottimo affare.
Un dettaglio non da poco: secondo l’interessata c’era stato un accordo tra i due, ma solamente orale. Ovviamente l’avvocato di Murakami, Gregory Clarick, nega tutto, sottolineando che, se pure in un attimo di follia l’artista le avesse concesso tale privilegio, esso sarebbe risultato legalmente non valido. Una questione di diritti e di regolamentazione su opere e multipli ltd.
Adesso, in attesa che i giudici ci mettano un punto, il tema è uno: sulla base di questo presunto patto a voce, quanti rotoli potrebbe aver prodotto e venduto Marianne Boesky, dal 2003 a ora, senza avvisare il legittimo proprietario dell’opera? Una domanda che, certamente, starà tormentando i sogni allegri e colorati di Takashi Murakami. Beffato e – probabilmente – risarcito.
– Helga Marsala
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