L’UNESCO salverà la vecchia Brera dall’”assalto” dei privati? Mentre tutto tace sul fronte della nascente Fondazione Grande Brera, il fronte del no si mobilita. Un convegno strizza l’occhio all’ONU e lancia un concorso internazionale per riorganizzare le collezioni della Pinacoteca
“Non siamo utili idioti”. Così Sandro Scarrocchia, docente dell’Accademia di Brera, tra i firmatari dell’appello lanciato da Vittorio Emiliani perché si fermi al più presto l’iter per la nascita della discussa, temuta e attesa Fondazione Grande Brera. Destinatario: Giorgio Napolitano. A lui si chiede di frenare quella che Scarrocchia ritiene senza mezzi termini una “privatizzazione […]
“Non siamo utili idioti”. Così Sandro Scarrocchia, docente dell’Accademia di Brera, tra i firmatari dell’appello lanciato da Vittorio Emiliani perché si fermi al più presto l’iter per la nascita della discussa, temuta e attesa Fondazione Grande Brera. Destinatario: Giorgio Napolitano. A lui si chiede di frenare quella che Scarrocchia ritiene senza mezzi termini una “privatizzazione bella e buona”. Perché qui “non si tratta di un processo condiviso tra pubblico e privato, non è come con l’ENI ai tempi di Enrico Mattei. Qui si vuole privatizzare un bene pubblico”. Stop. Ma poiché le raccolte firme rischiano di restare lettera morta, il fronte del no passa al contrattacco. E proprio per evitare il rischio di sembrare “utili idioti”, manipolati con faciloneria da questo o quello schieramento politico (perché in fin dei conti e in senso lato la questione è politica), Scarrocchia ha messo in piedi una due giorni e mezzo di incontri e dibattiti, a partire dal 29 e fino al 31 novembre mattina.
Tema: la Grande Brera. Sottinteso: il polo culturale, certo non la Fondazione. Svolgimento: analisi dello status quo e proposte fattive per il rilancio dell’ente. “Non è un appuntamento “contro”, ma un appuntamento “pro” ci assicura; lanciando Brera come capofila per il progetto transnazionale “Ancient-Contemporary Dialogue Inside the Common Cultural Heritage”; che mette in fila, insieme all’Albertina di Torino, le università di Cracovia, Spalato, Reggio Calabria e Malaga, e che punta all’accreditamento nei confronti dell’UNESCO. Ecco. L’UNESCO. Tra gli obiettivi anche quello di avviare il riconoscimento di Brera quale Bene Patrimonio dell’Umanità. “Così com’è” sottolinea Scarrocchia, e il passaggio – sottile – è in realtà determinante: la tutela internazionale non basterà ad arginare un processo di cambiamento gestionale, ma potrebbe valere come deterrente nei confronti di alcune tra le scelte più radicali e contestate che si affacciano all’orizzonte della nuova Brera.
Su tutte lo spacchettamento tra Pinacoteca e Accademia: perché se l’UNESCO tutela il complesso Brera, così come istituito da Maria Teresa d’Austria, allora la suddivisione in diversi rami (d’azienda?) potrebbe risultare più complicata. “Non si vedono progettualità, non c’è coinvolgimento dell’opinione pubblica su questi temi: è questo che vogliamo e chiediamo” continua Scarrocchia. E in assenza di risposte, allora, passa alle proposte. Quelle di un concorso internazionale per ampliare e rivedere la sede dell’Accademia: è sul fronte della didattica che si picchia più duro, nella convinzione sempre più diffusa che questa venga presto considerata un ramo secco. E nella critica ad un Comune per cui è arrivata “l’ultima chiamata. Se è vero che esiste la volontà di ampliare l’Accademia ci aspettiamo che gli amministratori della città vengano a mostrarci dove e come cambiare il Piano Regolatore e avviare il progetto”. In attesa di quel giorno il popolo del no si porta avanti: il concorso servirà a mettere sul tavolo idee e proposte fattive.
In attesa del convegno resta l’interrogativo principe: la nascita di una Fondazione di diritto privato che si accolli l’onere di traghettare Brera nel futuro porta e porterà alla paventata aggressione dei privati al pubblico? Decreto Sviluppo alla mano la risposta sembra essere negativa. Perché beni mobili e immobili (quadri e muri, insomma) saranno “conferiti in uso” alla Fondazione, ma resteranno pubblici; come di fatto soggetta al pubblico sarà la stessa Fondazione. Che prevede la partecipazione di Stato ed enti locali, ciascuno con una quota parte annua di 2 milioni di euro. Dove sta, allora, il privato? Sta, starà o meglio ancora starebbe, là dove gli stessi partner pubblici della Fondazione decideranno di metterlo: perché spetterà a loro decidere chi e in quale misura potrà aggregarsi al nuovo soggetto. Beni pubblici, denaro (in gran parte) pubblico, timone pubblico: di privato, questa Fondazione, avrebbe solo il “diritto”. Ovvero potrà funzionare per certe dinamiche come un’azienda, dotarsi degli strumenti più opportuni per puntare a quella “efficienza economica” che vorrebbe e potrebbe mettere ordine in conti deficitari. Analisi de Il Sole 24Ore stimano in 2 milioni di euro, ad oggi, il disavanzo di Brera.
– Francesco Sala
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