Pensato–disegnato-realizzato, tutto in 30 mesi. Può accadere solo in Cina: ecco le immagini del Galaxy Soho, l’ultimo gioiello di Zaha Hadid a Pechino
Zaha Hadid, sempre e solo Zaha Hadid. Chissà cosa ne pensa Patrick Schumacher, suo socio da una vita e probabilmente vero artefice della rivoluzione parametrica che contraddistingue l’anglo-irachena. A lei tutti gli onori, a lei i titoli di giornale. Come nei giorni scorsi, con la notizia dell’inaugurazione di un ennesimo, immenso complesso mixed-use a Pechino: […]
Zaha Hadid, sempre e solo Zaha Hadid. Chissà cosa ne pensa Patrick Schumacher, suo socio da una vita e probabilmente vero artefice della rivoluzione parametrica che contraddistingue l’anglo-irachena. A lei tutti gli onori, a lei i titoli di giornale. Come nei giorni scorsi, con la notizia dell’inaugurazione di un ennesimo, immenso complesso mixed-use a Pechino: 332mila mq., 5 volumi, 4 torri, 15 piani, 67 metri d’altezza. Di lui, a mala pena il nome menzionato nei credits relativi al project team. Eppure, ciò che di evidente salta agli occhi, sono la velocità con cui il progetto è stato pensato–disegnato-realizzato (appena 30 mesi!) e la riconoscibilità del segno grafico, troppo simile all’operazione che Sir Norman Foster ha compiuto qualche anno fa a Londra con il nuovo Municipio (una sorta di “gobba” pendente).
Di questa nuova realizzazione si parla come di un esempio di panoramic architecture: volumi continui, sinuosi, senza spigoli che possano interrompere la fluidità della composizione formale, rende il complesso un monoblocco dalla mille viste sulla città. Costruito su di un lotto che costeggia una delle più prestigiose strade di Pechino, il Galaxy Soho dedica i tre piani bassi al retail ed i dodici più alti a uffici e sedi direzionali, con il rooftop riservato, invece, a bar, caffè e ristoranti. Tante differenti funzioni dunque, interconnesse tra loro da passerelle, balconate e collegamenti aerei. La grande corte centrale poi – frutto dello spazio interstiziale tra le torri – rispecchia e omaggia la tradizionale idea propria dell’architettura cinese in cui i courtyards creano zone intime e separate. Una pelle di alluminio da 3 mm, pietra e vetro i materiali scelti per gli edifici, scenograficamente illuminati di notte e nuovo punto di riferimento del landmark cittadino.
– Giulia Mura
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