Pac-Man e Super Mario? Roba da museo. Il MoMA, però: che nella sezione design istituisce una collezione di videogames. Naturalmente tutti da giocare
Si parte con i grandi classici Anni ’80: Pac-Man e Tetris. Si prosegue con i pilastri del gestionale, come Sim City 2000 e la sua evoluzione The Sims; fino ad arrivare al recentissimo Canabalt, omaggio pixelato ai pionieri del genere, a portata e misura di smartphone. Le nuove acquisizioni del MoMA sono tutte da giocare […]
Si parte con i grandi classici Anni ’80: Pac-Man e Tetris. Si prosegue con i pilastri del gestionale, come Sim City 2000 e la sua evoluzione The Sims; fino ad arrivare al recentissimo Canabalt, omaggio pixelato ai pionieri del genere, a portata e misura di smartphone. Le nuove acquisizioni del MoMA sono tutte da giocare e prevedono di trasformare le Philip Johnson Galleries, a partire dal prossimo mese di marzo, nell’equivalente chic di un reparto di Mediaworld: il museo apre le porte ai videogiochi con quattordici titoli subito in catalogo, da aumentare a quaranta entro i prossimi mesi. Perché? Quasi inutile a dirsi. Tutto ciò che è rappresentazione della società, in ogni sua forma, rientra nel radar dell’indagine del MoMA; un presupposto concettuale rinforzato dalla ricerca dei supporti originali su cui giravano i videogiochi, residuati da archeologia digitale, modelli tecnologici da censire e ricordare. Tant’è che la collezione dipende dalla sezione Architettura e Design: una afferenza significativa e tutt’altro che banale.
Versioni complete per i giochi meno lunghi e impegnativi, demo per quelli più complessi: l’obiettivo è di rendere fruibile al pubblico l’intero patrimonio in fase di raccolta. Joystick in pugno, allora, si potrà scazzottare con Street Fighter II e saltellare con Super Mario e Donkey Kong; ma anche scoprire come lo Snake che per anni ha imperversato sugli antidiluviani cellulari Nokia risalga nella sua formula originale ai seventies. Gli stessi a cui appartiene Space Invader, mitico pezzo forte della raccolta. Un passo dovuto e, in fin dei conti, prevedibile. Perché se gli stencil di Invader già da tempo vengono venduti in galleria e le manipolazioni dei titoli Nintendo elaborate da Cory Arcangel hanno trovato posto al Whitney, il confine tra gioco ed arte è già da tempo stato annullato. E si può dunque fare sul serio.
– Francesco Sala
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