Ricette virtuose, a Milano, per gli Stati Generali del Volontariato Culturale: rottamato il concetto di “giacimento culturale” si scopre che la bellezza fa vivere meglio. E risparmiare un sacco di soldi…
Se oltre ad essere fruitore di cultura ne sei attore, allora vivi meglio. Nel senso che hai una percezione più positiva della tua vita e quindi reagisci diversamente anche alle malattie: ne consegue, da parte tua, una diminuzione del ricorso all’ospedalizzazione e alla medicalizzazione. Tradotto in soldini e soldoni: comporti un minor costo sociale. Non […]
Se oltre ad essere fruitore di cultura ne sei attore, allora vivi meglio. Nel senso che hai una percezione più positiva della tua vita e quindi reagisci diversamente anche alle malattie: ne consegue, da parte tua, una diminuzione del ricorso all’ospedalizzazione e alla medicalizzazione. Tradotto in soldini e soldoni: comporti un minor costo sociale. Non una rivoluzione copernicana, considerato che è dagli anni ’60 che in America si ragiona su certi temi, e che, dati alla mano, investire un euro in attività no-profit genera ricadute nella società per un valore fino a tre volte superiori: ma è questo il dato fondamentale da cui partire per raccontare gli Stati Generali del Volontariato Culturale, convocati a Milano dalla onlus Vita.
Il contributo più intenso arriva da Pierluigi Sacco, chiamato a leggere nella sfera di cristallo il futuro di un panorama magmatico e in costante evoluzione. Sono circa 800mila, oggi, i volontari della cultura: sul loro ruolo si dibatte e si discute, nel tentativo di individuare le potenzialità di un esercito che merita di uscire dall’anonimato di una manodopera a costo zero per diventare, finalmente, presenza attiva. Il concetto di “giacimento culturale” finisce in soffitta: è tempo della cultura 2.0, con le esperienze di auto-regolamentazione di cui è ricca la rete che offrono modelli vincenti anche in ambito culturale. È proprio sulla rete, piattaforma gratuita e democratica, che si misura il miglior modus operandi possibile: l’offerta culturale, di qualità sempre più alta grazie al potere delle tecnologie, incontra subito un bacino di riferimento; si by-passa l’idea che sia il mercato a fare una scrematura del bello e del brutto; si condivide e si compartecipa dell’evento, fatto, opera, azione in maniera diffusa.
Un arricchimento collettivo che, modulato in ambiti più pratici, può portare ad un diverso coinvolgimento delle masse di volontari. E, perché no, a progettare forme di imprenditorialità: perché una onlus, per statuto, non può generare profitti. Ma può creare lavoro. Lo dimostrano le 400mila aziende che in Italia si occupano di cultura e creatività a livello no-profit, generando il 5,4% del PIL e dando lavoro a quasi 1milione e mezzo di persone. Un numero che ci si augura salga: un contributo in proposito arriva dalla Fondazione Accenture, partner dell’iniziativa, che lancia il bando ARS, destinato a progetti di imprenditorialità capaci di creare posti di lavoro nel settore. In palio c’è un milione di euro: niente male per una start-up! In questo torrente di virtuosità ci si imbatte, fatalmente, nelle rocce monolitiche di un ente pubblico che, ad oggi, si serve del volontariato per rattoppare una coperta cortissima. Ma che non riesce a costruire progettualità efficaci. Guarda avanti Anna Maria Buzzi, direttore generale MiBAC per la valorizzazione dei beni culturali, che auspica il prossimo aggiornamento di un rapporto tra Stato e mondo del volontariato fermo, nelle sue formalità, a circa vent’anni fa. Si limita invece a cordiali saluti Lorenzo Ornaghi, che accreditato tra i partecipanti si sfila all’ultimo…
– Francesco Sala
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