Così ti clono l’ultimo complesso di Zaha Hadid. Non solo utensili, scarpe o cioccolatini: adesso in Cina si mettono a copiare le architetture
I cinesi, si sa, sono un popolo di scopritori. A loro si devono numerosi oggetti, marchingegni, antiche pratiche e tradizioni. Si sa, inoltre, che hanno un particolare occhio lungo per individuare, nel mondo, le migliori proposte e poi riprodurle velocemente. Ma se tutti ormai siamo abituati a considerare le chinoiseries come oggetti dalla dubbia qualità, […]
I cinesi, si sa, sono un popolo di scopritori. A loro si devono numerosi oggetti, marchingegni, antiche pratiche e tradizioni. Si sa, inoltre, che hanno un particolare occhio lungo per individuare, nel mondo, le migliori proposte e poi riprodurle velocemente. Ma se tutti ormai siamo abituati a considerare le chinoiseries come oggetti dalla dubbia qualità, nessuno si sarebbe invece aspettato che a essere copiata fosse addirittura l’architettura, e per di più quella griffata. Il dilemma è aperto: probabilmente siamo al punto in cui nessuno inventa nulla, tutto si evolve, semplicemente, e si adegua alle nuove città, alle nuove tecnologie e ai nuovi bisogni (sempre più simili, worldwide). Ma clonare cosi sfacciatamente, le realizzazioni – per altro in Cina già numerosissime, ben 11 – di un architetto famoso come Zaha Hadid, bhè, apre altri scenari di riflessione.
Che la sua architettura sia ormai talmente effimera e “commestibile” da essere riprodotta fedelmente come fosse un giocattolo gigante? Oppure il problema è un altro, e cioè che i nuovi strumenti condivisi di disegno e gestione rendono le forme tutte troppo simili e modellabili? O che le informazioni sono veicolate con tale velocità da rendere impossibile il non impossessarsi di immagini e stilemi che riscuotono successo, e farli propri? Oppure, ancora, dimostrare con provocazione che tutti possiamo essere ingoiati in questo meccanismo di deperibilità, in cui nessuno è escluso, dalla moda al design al cibo. Rem Koolhaas – noto li per la CCTV Tower – nel libro “Mutations” individua a tal proposito una categoria e la chiama Photoshop Designers: il problema sta tutto nella supervelocità con cui crescono le metropoli asiatiche, in cui i giovani architetti usano per gli edifici la tecnica del “Cut&Paste”.
Tre gobbe. A due mesi dall’inaugurazione del Galaxy Soho di Pechino, nel sud del paese sta sorgendo a ritmi impressionanti un altro megacomplesso, non simile, ma identico: è il Meiquan 22nd Century, a Chongqing, tre torri stondate in pietra e fasce d’alluminio, che troppo, davvero troppo ricordano la realizzazione della Hadid. Se è vero che non si tratta del primo occidentale che vede le sue architetture replicate in Cina, e peraltro lei non sembra essere cosi infastidita dal fenomeno (da brava manager di se stessa sa bene quanto l’eco mediatico non faccia che portare altra acqua al sua già florido mulino) è anche vero che più si copia, meno si inventa, e questo non fa che impoverire l’orizzonte creativo e rendere le nostre città squallidamente uguali, a qualsiasi latitudine.
– Giulia Mura
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