Fedele alla linea, il Sundance: a vincere il più importante festival di cinema indipendente è il drammatico “Fruitvale”, storiaccia di cronaca con tensioni razziali. Premi anche per il docu-film su Shinohara
Sembra che ogni generazione, in America, debba avere il suo Rodney King. Lo sventurato afroamericano che si trova al posto sbagliato e nel momento sbagliato, finisce gonfiato di botte – o alla peggio: ucciso – e scatena, con la propria denuncia, polemiche attorno alle forze dell’ordine e proteste di piazza. All’epoca del caso King, con […]
Sembra che ogni generazione, in America, debba avere il suo Rodney King. Lo sventurato afroamericano che si trova al posto sbagliato e nel momento sbagliato, finisce gonfiato di botte – o alla peggio: ucciso – e scatena, con la propria denuncia, polemiche attorno alle forze dell’ordine e proteste di piazza. All’epoca del caso King, con Los Angeles messa a ferro e fuoco dai manifestanti, Ryan Coogler era appena un bambino; aveva invece una ventina d’anni quando, nel 2009, un episodio di analoga oscura prepotenza e sopraffazione portò alla morte di Oscar Grant. Afroamericano, ventidue anni, ucciso in circostanze rocambolesche da un poliziotto nella notte di Capodanno: il plot perfetto per l’opera prima di Coogler, nel frattempo entrato nel luccicante mondo del cinema. Fruitvale racconta gli avvenimenti di quella folle notte e, in modo certo non sorprendente, conquista il Sundance: nella notte tra domenica e lunedì è calato il sipario sull’edizione 2013 del festival indie più quotato al mondo, vuoi per la paternità ascritta a Robert Redford, vuoi perché nel corso degli anni ha saputo scoprire e lanciare gente come Quentin Tarantino. Fruitvale porta a casa il Gran Premio della Giuria nella sezione “U.S. Dramatic Competition”, ma pure il premio assegnato dal pubblico; e soprattutto un accordo prossimo ai due milioni di dollari con la Weinstein Company, che si è accaparrata i diritti per la distribuzione del film. Tra i documentari vince il Blood Brother diretto da Steve Hoover, struggente viaggio in Africa di un volontario americano, animato dalla volontà di portare un contributo alla lotta contro l’HIV; i riconoscimenti per la miglior regia vanno tra i film a Jill Soloway per Afternoon Delight, tra i documentari a Zachary Heinzerling, che con il suo Cutie and the Boxer mette a nudo il pittore neo-dada Ushio Shinohara.
– Francesco Sala
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati