Novanta secondi possono bastare. Per violare il museo di Bergen e trafugare una ventina di inestimabili oggetti d’arte antiquaria cinese: e poiché non si tratta della prima volta si ridisegna la mappa dei gusti del mercato nero dell’arte
Se due indizi fanno una prova, con quattro siamo a cavallo: l’arte cinese, intesa come alto antiquariato, è entrata ufficialmente nelle privilegiate attenzioni del mercato nero. Resta a imperitura memoria della rete la straordinaria performance dei ladri che, pochi giorni fa, hanno violato per la seconda volta in poco più di due anni i non […]
Se due indizi fanno una prova, con quattro siamo a cavallo: l’arte cinese, intesa come alto antiquariato, è entrata ufficialmente nelle privilegiate attenzioni del mercato nero. Resta a imperitura memoria della rete la straordinaria performance dei ladri che, pochi giorni fa, hanno violato per la seconda volta in poco più di due anni i non certo insuperabili sistemi di sicurezza del norvegese Kunstmuseum di Bergen: i novelli Lupin, immortalati dalle telecamere di sicurezza, impiegano la miseria di novanta secondi per razziare 23 pezzi del pregiato lascito di Johan Munthe, avventuriero che alla morte ha lasciato 2.500 rarità orientali al museo della sua città.
Un colpo che richiama, in tutto e per tutto, quello che nel 2010 aveva alleggerito la stessa istituzione di 53 tra porcellane, monili in giada, carte finemente decorate e bronzi; e che non è dissimile da quelli che, solo nell’ultimo anno, sono stati messi a segno, in Inghilterra, ai danni di collezionisti privati a Durham e Cambridge. Furti su commissione o banda seriale? Probabilmente nulla di tutto questo. Ma il semplice allineamento, da parte di diversi professionisti dello scasso, alle nuove tendenze di un mercato illecito che, in Cina, sembra riscuotere particolare successo.
Perché da un lato pare esserci una certa “leggerezza doganale”, che renderebbe tutt’altro che impenetrabili le maglie dei controlli e permetterebbe un agevole ingresso nel Paese di opere d’arte trafugate all’estero; dall’altro sembra possibile che prenda piede una malsana idea di rivalsa da parte dei nuovi ricchi con gli occhi a mandorla, quasi il ritorno in patria di opere a loro tempo sottratte con la forza da parte dell’Occidente fosse una sorta di “risarcimento culturale”. Da ottenere senza alcun riguardo per il lecito; seguendo l’adagio, ben poco zen, del fine che giustifica i mezzi. Questo lo scenario ricostruito da Noah Charney, storico d’arte con la passione del giallo – autore di una fortunata serie di bestseller a tema, da The Art Thief al recente The Thefts of the Mona Lisa; questa la pista seguita dagli inquirenti norvegesi, che ancora brancolano nel vuoto. Illazioni o sensazioni giuste? Un dato di fatto, incontrovertibile, testimonia il crescente interesse da parte dei cinesi per le testimonianze del proprio passato; e arriva da fonti di Stato, prontamente ribattute dal megafono del China Daily. Nel solo 2010 sono state quasi 800 le persone arrestate, in Cina, per aver razziato tombe antiche e siti archeologici; circa le 70 le bande criminali sgominate, con il recupero di un numero di reperti che si aggira attorno alle duemila unità. Tombaroli scatenati, insomma: con buona pace della regina di tutti gli archeologi d’assalto: Lara Croft è vietata, in Cina, dove Tomb Raider II è dal 2005 sotto censura. Perché potrebbe istigare al furto di opere d’arte.
– Francesco Sala
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati