Archistar? No, antistar. Va a Peter Zumthor la prestigiosa Golden Medal del Royal Institute of British Architects: un non-architetto ermetico e selettivo
Abituati come siamo a prestare attenzione a tutto ciò che è spettacolare, che fa clamore o notizia, stupisce che ad aggiudicarsi il RIBA Golden Medal quest’anno sia Peter Zumthor, l’antidivo dell’architettura. Non stupisce anzi – se lo merita ampiamente – ma sorprende, piuttosto: come è possibile che uno dei personaggi più stimati, poetici, raffinati del […]
Abituati come siamo a prestare attenzione a tutto ciò che è spettacolare, che fa clamore o notizia, stupisce che ad aggiudicarsi il RIBA Golden Medal quest’anno sia Peter Zumthor, l’antidivo dell’architettura. Non stupisce anzi – se lo merita ampiamente – ma sorprende, piuttosto: come è possibile che uno dei personaggi più stimati, poetici, raffinati del nostro tempo ha dovuto attendere fino ai 69 anni per ricevere il prestigioso riconoscimento?
Presto detto. Nato a Basel, intraprende gli studi in arti applicate (stile Bauhaus) per poi proseguire a New York e diplomarsi in disegno industriale al Pratt Institute. Prima anomalia: ad aggiudicarsi uno dei massimi riconoscimenti dell’architettura… non è un architetto! Bensì un uomo che, arrivato alla soglia dei settant’anni, ha costruito a malapena una ventina di progetti. Il motivo di tale ermetica e purissima visione dell’architettura risiede innanzitutto nel carattere schivo del Peter Zumthor uomo, che dopo tutti questi anni e numerosi successi, ancora sceglie di vivere e lavorare in Svizzera, a Haldestein, nel Cantone GrauBunden, lontano anni luce dai riflettori. Il suo studio atelier – in pietra e vetro – è come la sua tana, un posto accogliente dove sporadici clienti e fortunatissimi giornalisti hanno il diritto di entrare. Non si tratta di arroganza, anzi (Zumthor possiede una sensibilità fenomenologica fuori dal comune), quanto piuttosto una rara forma di concepire il lavoro – la practice – nel quale il cliente non è né suo padrone, né suo partner, ma un veicolo con il quale realizzare le proprie idee, qualcuno che, semplicemente, può facilitare e finanziare il work of art che lui intende portare avanti. Dunque, non tutti i committenti sono uguali, bisogna scegliersi.
Da qui la volontà di realizzare pochissimo, ma di farlo con un’enorme padronanza dei luoghi, dei materiali e una capacità di sperimentare con intelligenza che raramente si vede in giro. Divenuto famoso nel 1996 con quella che forse resta una delle sue opere più iconiche – le terme di Vals – Zumthor ha instaurato una strana ed ambivalente relazione con l’architectural establishment che, generalmente, ha la tendenza ad inglobare le archistar in uno specie di industria stile Hollywood. La sua visione non può essere più lontana da questo: quello che colpì, nei primi anni ’90, del suo lavoro, era la capacità di creare spazi eterei, che giunsero come una boccata d’aria fresca e un antidoto alla pesantezza e all’annacquata cultura architettonica imposta fino ad allora dal movimento Postmoderno.
La sua principale peculiarità resta la sensibilità vernacolare con cui tratta gli interni, la perfetta orchestrazione di luci, suoni, colori, textures e sensazioni che lo rendono unico nel suo approccio senza compromessi e nella sua visione genuina. Con lui, è utile rallentare, e provare a guardare le cose un po’ più da vicino. E non è sempre necessario andare a rispondere al telefono…
– Giulia Mura
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