Cultura, investimenti, sviluppo: finalmente qualcuno ne parla in campagna elettorale. Il PD e la sua ricetta per l’arte contemporanea. Tutto fumo o anche un po’ di sostanza?

Una cosa gli va riconosciuta, questo è certo. A prescindere da tifoserie, visioni personali, eccessi apologetici, polemiche al vetriolo e sacrosante disillusioni. Così come abbiamo sottolineato che all’arte e la cultura il governo Monti ha pensato poco o nulla, e che questa campagna elettorale, in tutte le sue declinazioni politiche e partitiche, non è stata da […]

Una cosa gli va riconosciuta, questo è certo. A prescindere da tifoserie, visioni personali, eccessi apologetici, polemiche al vetriolo e sacrosante disillusioni. Così come abbiamo sottolineato che all’arte e la cultura il governo Monti ha pensato poco o nulla, e che questa campagna elettorale, in tutte le sue declinazioni politiche e partitiche, non è stata da meno, adesso non possiamo non evidenziare che almeno loro, quelli del Partito Democratico, un segnale lo hanno dato. Finalmente. In ritardo, va bene. Giusto con una timida e striminzita paginetta e mezzo, d’accordo. Per lo più zeppa di contenuti scontati e vaghi. E con spirito di propaganda, come circostanza vuole. E però, il Pd, solo lui, ci ha pensato. Ecco arrivare, dunque, un bel pdf col simboletto tricolore, intitolato Il Partito Democratico per l’Arte contemporanea. Nientedimeno. E chi se lo sarebbe aspettato? In effetti, a ben vedere, un “Monti per l’arte contemporanea” non verrebbe proprio da immaginarselo. E nemmeno un Grillo o un Berlusconi, diciamocelo. Il Pd, invece, con quella sua allure (ipocrita? Sincera?) di intellettualità radical-chic, una cosa così se la poteva/doveva tirare fuori: la carta giusta, in mezzo a tante carte politically correct, che a ridosso del voto ha senso che ci sia. Progressisti, col vezzo della cultura, fra tradizione local (cotè bersaniano) e mutazioni social-hipster (cotè renziano), una parola sul tema l’hanno detta. Chapeau, già solo per il pensiero.

Silvio Berlusconi

Silvio Berlusconi

E dunque? Dunque si comincia con una frasetta stentata sul tasto cultura e sviluppo. Che secondo loro, quelli del Pd, non è poi forse troppo significativo: “Va spazzato via l’equivoco che una cultura gestita “bene” possa produrre profitti diretti. Obiettivo cruciale è semmai quello del migliore utilizzo delle risorse – pubbliche e private – che un sistema culturale complesso richiede per funzionare bene”. Ok, in questi ultimi anni abbiamo scherzato: la faccenda dello sviluppo è marginale. Sicuri? Macchè. Diretto o indiretto che sia, il profitto c’è eccome. Quando vale la pena, i privati investono, il pubblico stacca i biglietti, i turisti alimentano l’indotto, i servizi aggiuntivi fanno fatturato. E il Pil ci guadagna. Un fatto che non inficia quella “responsabilità pubblica di sostenerne la diffusione e la produzione”. La cultura è un “diritto dei cittadini”, ricorda la sinistra italiana. E fa bene: la parola “responsabilità”, mai come adesso, va ripetuta ai governanti tutti, che oramai conoscono solo la parolona “austerity” e la parolaccia “tagli”.
Poi, si passa al cuore della questione: “Le arti contemporanee costituiscono un formidabile strumento di conoscenza critica della realtà e di stimolo alla creatività e alla innovazione”. Non di solo passato si vive: la storia si coniuga anche al presente e al futuro. Banalità. Ma che nessuno – o quasi – si ricorda mai di dire.
A questo fine è indispensabile avvicinare gli investimenti pubblici per la cultura ai livelli europei e ancor più indispensabile sarà mettere le istituzioni culturali in condizione di utilizzare razionalmente le risorse e di funzionare nel migliore dei modi possibili”. Ovvio, puntiamo al migliore dei sistemi possibili. Ma come? Non è dato sapere. Che un governo debba usare bene le risorse e mettere in condizioni i musei di lavorare al meglio, è lapalissiano, banale ancora una volta. Il punto è capire in che modo e secondo quali linee guida. Ma in campagna elettorale, si sa, il livello resta quello della retorica dei buoni propositi.

Pd Cultura

Qualche accenno anche alle risorse private, da incoraggiare “attraverso indispensabili incentivi fiscali”. Questione davvero fondamentale. Che subito dopo viene così puntualizzata: gli incentivi, “tuttavia, rappresentano una forma peculiare di intervento anche pubblico, poiché i risparmi fiscali comportano una diminuzione del gettito verso le casse dello Stato”. Un modo per ricordare che, alla fine, è sempre lo Stato, ovvero i cittadini, a sobbarcarsi il “peso” della cultura. Vero. Così come è vero, però, che ogni risorsa – diretta o indiretta – canalizzata verso la cultura, non è una diminuizione ma un investimento. Purché si proceda nel segno di qualità, intelligenza e rigore.
E ancora sui musei, qualche parola chiave: dalla classica triade “acquisizione, conservazione e valorizzazione” delle collezioni, fino alla produzione di “mostre temporanee” – sai che novità! – evitando la formula delle “mostre chiavi in mano” e puntando invece su internazionalità e “interventi strutturali sulle istituzioni”. Riguardo a queste ultime, si arriva anche a suggerire qualche modello europeo di riferimento, al fine di incentivare la sperimentazione contemporanea, dalle Kunsthalle ai FRAC francesi, fino ai Kunstvereine. Magari pensando a delle collaborazioni con i privati. In che termini? Giusto sfruttandone “competenze manageriali specifiche, per esempio nei campi della comunicazione, dell’informazione, dell’editoria”. Ma di partnership e investimenti non si parla.
Che dire? Nei dieci giorni che mancano all’appuntamento con le urne, la speranza è che simili segnali giungano anche dagli altri fronti. E che, ça va sans dire, non di sole chiacchiere elettorali si tratti.

– Helga Marsala

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Helga Marsala

Helga Marsala

Helga Marsala è critica d’arte, editorialista culturale e curatrice. Ha insegnato all’Accademia di Belle Arti di Palermo e di Roma (dove è stata anche responsabile dell’ufficio comunicazione). Collaboratrice da vent’anni anni di testate nazionali di settore, ha lavorato a lungo,…

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