Dal “thriller farmaceutico” di Soderberg alla censura dribblata da Panahi. Giornata intensa alla Berlinale, giornalisti in fuga dalla Camille Claudel di Bruno Dumont
Quinta giornata alla Berlinale con l’atteso film di Steven Soderbergh, Side Effects, protagonisti Jude Law, Rooney Mara, Catherine Zeta-Jones, Channing Tatum. Stile asciutto, quasi anatomico quello del pluripremiato regista di Ocean’s Eleven, che dopo Contagion, presentato l’anno scorso in concorso a Cannes, torna sul tema della malattia, questa volta psichiatrica, per costruire la trama complessa […]
Quinta giornata alla Berlinale con l’atteso film di Steven Soderbergh, Side Effects, protagonisti Jude Law, Rooney Mara, Catherine Zeta-Jones, Channing Tatum. Stile asciutto, quasi anatomico quello del pluripremiato regista di Ocean’s Eleven, che dopo Contagion, presentato l’anno scorso in concorso a Cannes, torna sul tema della malattia, questa volta psichiatrica, per costruire la trama complessa di quello che si potrebbe definire un “thriller farmaceutico”. Un plot estremamente complesso si dipana con ritmo crescente mentre i due attori principali giocano una partita fatta di bluff e inganni. Un continuo gioco di ribaltamenti di senso e nuove interpretazioni dei dati a disposizione hanno come “effetto collaterale” quello di tenere gli spettatori col fiato sospeso fino all’happy ending finale.
Contorto se non difficile il film di Jafar Panahi, il regista de Il palloncino bianco, Leone d’Oro nel 2000 con Il Cerchio. Il regista messo agli arresti domiciliari dal governo iraniano per propaganda anti governativa e col divieto di girare film o scrivere sceneggiature per 20 anni, è riuscito in questa impresa grazie al supporto di Kamboziya Partovi. Il film non autorizzato è metanarrativo e molto sofisticato e richiede una partecipazione interpretativa notevole da parte degli spettatori. Il titolo Closed Curtain suggerisce la censura imposta al cinema iraniano, forse, ma nella versione originale Parde è un rito di allontanamento del diavolo che si fa usando una tenda. In una villa di fronte al mare vive un uomo che si nasconde col suo cane. I cani sono considerati impuri dal regime iraniano e quindi sterminati. Quando infine tutti spariscono ed entra in scena il regista Panahi, resta solo la casa vuota metafora dell’esilio dell’artista, delle sue frustrazioni e dei suoi desideri. Con una foggia così sofferta e personale e una fotografia che esalta il particolare mood dell’autore Closed Curtains è sembrato fin’ora il film più adatto ad un Festival del Cinema. Probabilmente otterrà qualche riconoscimento. Intanto fuori dal Berlinale Palast, sit-in suo favore.
Confinata al pomeriggio la proiezione del deprimente Camille Claudel 1915 di Bruno Dumont, che ha causato la dipartita di una massa ingente di giornalisti durante l’intera proiezione. Si potrebbe dire piuttosto un “esodo”. Il film invece di parlare della vita dell’artista omonima, si concentra su un determinato momento della sua lunga degenza in manicomio. Uno strazio senza mezzi termini, con una Binoche piagnucolosa oltre ogni sopportazione e lo sfondo di quattro malate mentali e quattro monache nefaste. Se pure non fosse stato presente nel Festival, nessuno ci sarebbe rimasto male.
In giornata arriva la notizia che Linklater ha ricevuto il riconoscimento Camera, che dal 1986 il Festival Internazionale di Berlino consegna a personalità del cinema o istituzioni a cui sente di dovere uno speciale ringraziamento. Linklater è un annoso amico della Berlinale, con Before Sunrise ha ricevuto l’orso d’argento per la regia nel 1995. Nel 2004 è stato nuovamente ospite col seguito, Before Sunset. Nel 2007 nella sezione collaterale Culinay Cinema con Fast Food Nation. Ieri di nuovo nella competizione con Before Midnight.
– Federica Polidoro
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