Flash Art Event? Un successo. Almeno stando alle prime impressioni da un vernissage preso d’assalto: pubblico delle grandi occasioni e galleristi con sorriso a trentadue denti. Pochi minuti e già si vende…
Da un paio d’anni almeno, entrando in una fiera qualsiasi – pescate liberamente dal mazzo: Bologna, Torino, Milano, Verona… – è tutto uno storcere il naso, fare spallucce, inarcare gli angoli della bocca all’ingiù. Massì: le solite cose. Ennò: non si vende. E giù la requisitoria contro i tempi, la crisi, l’Italia, il mercato, il […]
Da un paio d’anni almeno, entrando in una fiera qualsiasi – pescate liberamente dal mazzo: Bologna, Torino, Milano, Verona… – è tutto uno storcere il naso, fare spallucce, inarcare gli angoli della bocca all’ingiù. Massì: le solite cose. Ennò: non si vende. E giù la requisitoria contro i tempi, la crisi, l’Italia, il mercato, il coraggio che manca, gli artisti che non osano, i galleristi in trincea e tutto il caravanserraglio delle giaculatorie varie.
Delle due l’una: o a Milano sono improvvisamente diventati tutti di bocca buona, oppure Flash Art Event ha colto nel segno. Il trend pare essersi invertito.
Non è passata mezz’ora dall’apertura della fiera che, incrociando lo stand di Fondazione Marconi, già vedi un buco nella parata di disegni di Emilio Tadini: non solo se lo sono comprato – e non è l’unico – ma se lo sono portato via subito. Dalle parti di Minini c’è una ressa che nemmeno al mercato al banco dell’intimo: un cassone in legno, pezzi di piccolo formato tutti da scoprire, frugando tra le carte da imballaggio. Consigli per acquisti facili, che non inducono al taglio delle vene: affari da tempo di crisi, al punto che – mettendoci pure l’accesso gratuito al Palazzo del Ghiaccio – ti viene da pensare che esista un altro mondo possibile nella galassia dell’affordable.
Di criticoni ne incroci parecchi, gente che – è noto – compra le uova solo per cercarci dentro il pelo: barcollano disorientati, cercando disperatamente qualcosa che non vada. E fanno una fatica tremenda. Chiaro, tutto è perfettibile: non mancano gli espositori che forse non sono all’altezza; il parterre è decisamente Milano-centrico, pur con qualche ospite di riguardo (tra gli altri Poggiali e Forconi). Ma a funzionare è la formula, rispettata più o meno universalmente, dell’impianto altamente curatoriale: doveva essere una raccolta di minuscole personali e lo è stata. Persino chi ha esagerato si è fermato entro i limiti della decenza. Cercando di evitare l’effetto supermarket e provando a trasmettere nel limite del possibile la linea della galleria.
Poco pop, tolti Veneziano da Contini, Di Piazza con Bonelli e De Biasi negli spazi di Area B; atmosfere tribali per Tayou da Continua, eccentriche le tassidermie aeree di Polly Morgan con la veneziana Workshop; fugaci sguardi oltre frontiera si rivelano, in pieno stile Politi, passaggi oltre cortina: tra Serbia e Albania.
Metabolizzato lo shock di un evento che piace, da domani si scatenerà la bagarre della critica; teniamoci, per ora, quella sana atmosfera di ottimistico stupore che ha aleggiato, almeno per un paio d’ore, dalle parti del Palazzo del Ghiaccio. Considerati i tempi è già tantissimo.
– Francesco Sala
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