Ma insomma, la cultura è in crisi solo in Italia? No, a New York chiude 92YTribeca, a Parigi la fabbrica de La Miroiterie
Mal comune, mezzo gaudio? No, questo consolatorio adagio popolare non ci è mai piaciuto né mai ci piacerà: eppure, stante la situazione depressiva che ogni giorno trova nuove ragioni per ripresentarcisi davanti, capire qual è il contesto economico-finanziario su altre platee può aiutare a capire se le soluzioni vanno cercate solo dentro la mura di […]
Mal comune, mezzo gaudio? No, questo consolatorio adagio popolare non ci è mai piaciuto né mai ci piacerà: eppure, stante la situazione depressiva che ogni giorno trova nuove ragioni per ripresentarcisi davanti, capire qual è il contesto economico-finanziario su altre platee può aiutare a capire se le soluzioni vanno cercate solo dentro la mura di casa, o vanno pensate in un quadro di crisi strutturale e allargata.
Parliamo nel nostro caso di situazione economico-finanziaria applicata ai temi di nostra competenza, ovvero alla salute di progetti e strutture artistico – culturali: è la realtà non appare propriamente rosea. Sono di questi giorni due casi – entrambi segnalati dal New York Times – che magari non saranno rappresentativi di un panorama complesso e diversificato, magari saranno “di nicchia”, ma comunque concorrono a comprendere che le vacche magre italiane non sono poi così solitarie. Anzi, pascolano beatamente anche in posti inaspettati come New York e Parigi.
Il primo caso segnalato di un NYT coraggiosamente nel ruolo di “becchino” culturale è quello del 92YTribeca, centro culturale newyorkese dotato di cinema, teatro, caffè, sala conferenze e galleria d’arte, che chiuderà i battenti entro l’estate. Branche popolare e giovanilistica – attiva da una quarantina d’anni, con altre denominazioni – della “casa madre” 92Y, che invece continuerà ad operare – anzi, con investimenti concentrati – nella sede di uptown, sulla Lexington Avenue. Altro caso di chiusura annunciata è quello della parigina La Miroiterie, fabbrica abbandonata nel quartiere di Ménilmontant, 20mo arrondissement, nel nord-est di Parigi, da 14 anni occupata da studi di artisti e creativi di varia natura. Oltre alle rivendicazioni di una società immobiliare, a decretare la fine qui concorre anche il radicalismo degli animatori, che hanno scelto la morte piuttosto che l’inquadramento fra i “centri sociali” riconosciuti dal Comune. Casi specifici, magari in qualche caso estremi: ma certo, e tempi dell’edonismo reaganiano non potrebbero essere più lontani…
– Massimo Mattioli
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