Chi si ricorda dell’ampliamento della Galleria Nazionale d’Arte Moderna? Da quasi dieci anni non si parla più dell’Ala Cosenza e del progetto di Diener&Diener. E intanto tutto marcisce dietro la GNAM
Ampliamenti di importanti musei di cui si è completamente perduta traccia e memoria. È un caso di un museo non propriamente secondario, sul palcoscenico italiano, come la Galleria Nazionale d’Arte Moderna: ormai sono anni e anni che a Roma non si fa più menzione del progetto di allargamento – peraltro indispensabile per le attività museali […]
Ampliamenti di importanti musei di cui si è completamente perduta traccia e memoria. È un caso di un museo non propriamente secondario, sul palcoscenico italiano, come la Galleria Nazionale d’Arte Moderna: ormai sono anni e anni che a Roma non si fa più menzione del progetto di allargamento – peraltro indispensabile per le attività museali – immaginato da moltissimi anni e mai portato a termine.
Una storia che ha percorso un sentiero accidentatissimo. A partire dal primo progetto, un tardo razionalismo firmato Luigi Cosenza che prese avvio fin dagli anni Sessanta quando la volitiva direttrice della Galleria, Palma Bucarelli, decise che lo spazio doveva ampliarsi verso la collina retrostante. Il progetto si arenò dopo vent’anni, senza essere neppure completato pur essendo stato usato (a partire dal 1988) per qualche mostra, a causa la morte dell’architetto e per pastoie burocratiche.
L’Ala venne chiusa nel 1996. Sta di fatto che i due Van Gogh e il Cezanne che vennero sottratti alla Gnam nel 1998 erano custoditi proprio nell’Ala Cosenza, e così i nuovi spazi vennero dichiarati da quel momento poco sicuri e dunque di certo non utilizzabili per contenere opere. Subito si cercò di provvedere e il concorso, vinto nel 2000 dallo studio svizzero Diener&Diener, scatenò mille polemiche poiché prevedeva la demolizione e la ricostruzione della già quasi del tutto realizzata Ala Cosenza nel frattempo, pur relitto urbano, considerata qualcosa da conservare, testimonianza di un grande architetto.
Le polemiche e il contestuale inizio del cantiere del Maxxi (che assorbì molte delle risorse pubbliche a disposizione) ebbero gioco facile nel de-finanziamento dell’opera che, ancora oggi, aspetta un esito. Il cantiere si è fermato dopo qualche falso stop&go all’inizio degli Anni Zero: oggi l’area retrostante alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna è preda di calcinacci, topi, rovi e marciume. Una sorta di abuso edilizio in decomposizione nel cuore della Valle Giulia, uno dei contesti storici, paesaggistici e architettonici più delicati e straordinari della capitale d’Italia. E nessuno sembra intenzionato a muovere un dito né ora né in prospettiva.
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