Uno stanzone sui Navigli, là dove tutto ebbe inizio. Ritorno alle origini per Arnaldo Pomodoro, che inaugura gli spazi della sua rinnovata Fondazione in pieno clima da Fuorisalone
Per chi si era abituato alla magniloquenza degli spazi ex-industriali di via Solari si tratta di un piccolo shock; inevitabile pensare al tono minore, alla contrazione e riduzione: inaugura la nuova sede della Fondazione Pomodoro, e solo il fatto che si debba fare a turno per entrare, con quella breve ma insopportabile attesa sotto una […]
Per chi si era abituato alla magniloquenza degli spazi ex-industriali di via Solari si tratta di un piccolo shock; inevitabile pensare al tono minore, alla contrazione e riduzione: inaugura la nuova sede della Fondazione Pomodoro, e solo il fatto che si debba fare a turno per entrare, con quella breve ma insopportabile attesa sotto una spruzzata di pioggia che infastidisce le sciurette di turno, significa che gli spazi sono davvero molto concentrati. Piccoli? C’è chi li definirebbe accoglienti: scegliete voi se mettervi in fila tra i detrattori del “prima era meglio” oppure se ingrossare le fila degli ottimisti per cui piuttosto che niente è meglio piuttosto – rende meglio in dialetto lumbard la sentenza, ma tant’è. Via Vigevano è quella strada sferragliante di tram che collega Porta Genova alla darsena, in una infilata pressoché ininterrotta di bar da aperitivo; al civico nove si apre il tipico ennesimo antro della tipica ennesima casa a corte milanese: pochi gradini e si scende nei circa duecento metri quadri della rinnovata fondazione, open space con annesso localino che fa da bookshop, ufficio e reception. È tutto. Addio all’imponente navata con passerelle aeree, addio al piccolo auditorium per conferenze e concerti; addio alla Unicredit Project Room, un tempo ospite gradito e addio alla curatela di Angela Vettese, alle grandi mostre con opere impegnative.
Benvenuti nell’intimità di un ambiente che ha tutti i canoni della piccola e avventurosa galleria, che mette nell’angolo una monumentalità divenuta di questi tempi ingestibile e impraticabile; benvenuti al battesimo di un’avventura che lo stesso Arnaldo ritiene “definitiva”: a suo modo un ritorno alle origini, riflessione intima sulle tracce di un passato che in queste strade, quando ancora di happy hour non si sentiva parlare, lo ha visto muovere i primi passi.
Il sipario si alza sulla retrospettiva che celebra le opere Anni Cinquanta dello scultore; lui stesso – magnifico novantenne – accoglie uno ad uno gli amici vecchi e nuovi arrivati per un saluto: una scelta di sopravvivenza la sua, meglio ridurre per non rischiare di scomparire dai radar. Funzionerà?
– Francesco Sala
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