Biennale Updates: il Nuovo Mondo dell’arte a Palazzo Contarini Polignac per il Future Generation Art Prize indetto da Victor Pinchuk. Budget stellare e giuria d’eccezione per selezionare i big di domani
Il mondo è cambiato e ormai non si torna più indietro, l’asse di rotazione si è spostato di quella manciata decisiva di gradi, i poli si sono riassestati e potremmo dover presto o tardi riconoscere di essere – oggi – i figli di mezzo della Storia. Che non si trattasse più di sporadici casi ammantati […]
Il mondo è cambiato e ormai non si torna più indietro, l’asse di rotazione si è spostato di quella manciata decisiva di gradi, i poli si sono riassestati e potremmo dover presto o tardi riconoscere di essere – oggi – i figli di mezzo della Storia. Che non si trattasse più di sporadici casi ammantati di esotismo, quanto piuttosto di una presenza sempre più strutturata e sistematica era chiaro già da un po’, ma il bagno di realtà ce l’hai solo quando ci sbatti la faccia contro: al milionario russo che si compra la squadra di calcio se ne è aggiunto un altro, e un altro ancora e poi dieci; con il pallone che viene presto o tardi affiancato da altro. Come l’arte, ad esempio.
Ingresso strettamente riservato, ressa alle porte di Palazzo Contarini Polignac per il party che presenta a Venezia la seconda edizione del Future Generation Art Prize, ricchissimo contest determinato dalla fondazione di Victor Pinchuk. Scatenata orchestrina salsa y merengue e parlate da Europa orientale, caipirinha come se piovesse su un profluvio di fate giganti, tutte bionde, tutte con la faccia a non meno di un metro e ottanta da terra: fresco, giovane e leggero questo meltin-pot cafonal, così ammiccante e suadente da risultare tollerabile, persino gradevole rispetto alla consumata e greve paludosa atmosfera plastica delle burinate nostrane, con i dj set revival Anni Novanta e le cariatidi ad ancheggiare sui femori. Il mondo va di là, in Russia e Ucraina, nelle meno censite – più o meno – repubbliche del Caucaso; va dove ci sono i soldi, è vero, ma anche quella matta voglia di spenderli che da questa parte della barricata non c’è più. Centomila dollari, divisi tra cash e finanziamento di progetti, al primo classificato; ventimila da spalmare su cinque menzionati: un board che mette insieme Miuccia Prada e il direttore del Guggenheim Richard Armstrong, Damien Hirst, Elton John e Jeff Koons, mentre la giuria che restringe il campo ai ventuno finalisti conta, tra gli altri, su Massimiliano Gioni e Carolyn Christov-Bakargiev.
Nel labirinto di tappezzerie d’epoca che è Palazzo Contarini Polignac è facile allestire, anche una cartaccia abbandonata per terra farebbe la sua porca figura. Ma le opere, i lavori e gli artisti, ci sono tutti: e non mancano quelli forti davvero. Più che la vincitrice del primo premio Lynette Yiadom-Boakye vale allora l’intervento del brasiliano Jonathas De Andrade, trent’anni, in predicato fino all’ultimo di entrare nel Palazzo Enciclopedico di Gioni, che ricrea la sua intima e privata memoria del paesaggio con un pattern pixelato di moduli semplici, esaltazione minimale e vincente della più suadente saudade. Monumentali le micro architetture di Rayyane Tabet; magnetico il video, un po’ alla Bas Jan Ader, dell’egiziano Basim Magdy, spettacolare l’occupazione dello spazio dell’installazione site-specific di Marwa Arsanios e di quella sonora di Meris Angioletti, che gonfia l’aria con un mantra di parole inventate in una lingua che non esiste. Cronache ammalianti dalla Torre di Babele.
– Francesco Sala
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