Cannes Updates: domenica all’insegna del luciferino Borgman, e della poesia del cambogiano Rithy Pahn. Red Carpet con relativo assalto popolare per i Coen e Timberlake
Unico film in competizione nella domenica delle prime schiarite, l’improbabile Borgman dell’olandese Alex Van Warmerdam. Lui occupa il posto che l’anno scorso fu di Holy Motors: il film indefinibile dell’anno. Un uomo barbuto che vive sotto terra in una bara viene inseguito da tre uomini, per scappare chiede ospitalità ad una famiglia portando totale scompiglio: […]
Unico film in competizione nella domenica delle prime schiarite, l’improbabile Borgman dell’olandese Alex Van Warmerdam. Lui occupa il posto che l’anno scorso fu di Holy Motors: il film indefinibile dell’anno. Un uomo barbuto che vive sotto terra in una bara viene inseguito da tre uomini, per scappare chiede ospitalità ad una famiglia portando totale scompiglio: ma la trama è molto più complessa e assurda. Costellato di sinistre, oscure presenze, il film è costruito da una parte sul conflitto tra l’asetticità dell’immagine e il contenuto grottesco-fantasy, dall’altra su uno humor nero a sfondo quasi razzista che innesca reazioni isteriche al livello intra ed extra diegetico. In poche parole il film può anche non piacere, ma è davvero improbabile che lasci lo spettatore indifferente. Chi è la presenza luciferina che bussa alla porta chiedendo il permesso di fare una doccia? E chi quei loschi figuri con cui si consulta in giardino? La sua ambiguità spaventa tanto più che la sua cattiveria emerge, nella squallida, meschina banalità quotidiana. Palma molto improbabile.
Nella sezione Un Certain Regard è stato presentato il film del cambogiano Rithy Pahn, dal suggestivo titolo L’image Manquante. Al limite del documentario, ma con una declinazione da poesia visiva godardiana, racconta in prima persona del regime di Pol Pot, dell’ideologia comunista e della memoria rubata. Poiché non esistono immagini del periodo degli Khmer Rossi se non quelle costruite dal regime per la propaganda, Panh ricostruisce la storia della sua famiglia con pupazzetti intagliati artigianalmente. Il film è una cura. Contro i sensi di colpa di un bambino che non è riuscito a salvare i suoi cari da una morte assurda. Di un uomo e della sua impotenza di fronte alla incomprensibilità della vita. Una cura contro il vuoto lasciato dall’espropriazione del proprio passato. Il gesto creativo stesso dell’intaglio, del fare emergere qualcosa di nascosto dall’argilla è un atto che Jodorowsky (presente anche lui quest’anno nella Quinzaine de Realisateurs) direbbe psicomagico. Restituisce alla vita coloro che si sono persi e li salva dall’oblio. L’intensità, il dolore, l’impegno del regista emergono in ogni fotogramma, insieme con l’amore per l’infanzia lontana e felice e l’amarezza di ciò che rubato non può più tornare indietro. Ma è anche occasione di riflessione metanarrativa sulla veridicità dell’immagine cinematografica, che ricorda le teorie filosofiche di Basin.
Domenica ancora sotto i riflettori il film dei fratelli Coen, anche grazie all’arrivo della super star Justin Timberlake. Folla gremitissima e scene di panico adolescenziale al momento del red carpet. Lunedì 20 si entra nel vivo del concorso: a parte Inside Llewyn Davis, la cui vittoria peraltro sembra improbabile, nessun film sembra ancora essere all’altezza della Palma D’oro. Vedremo.
– Federica Polidoro
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