Cannes Updates: si apre con il Grande Gatsby. Se il pubblico esulta, la stampa apprezza poco. Troppo kitsch? Forse. Ma il film di Baz Luhrmann riesce ancora a far sognare
Delirio a Cannes, dove impazza la Gatsby mania. Tutto tappezzato di cartelloni e vetrine allestite in stille 20’s. Magari non piacerà ai critici, ma Il Grande Gatby di Baz Luhrmann è un grande film. Un film che fa sognare la folla. Quello che colpisce non sono l’esuberanza, l’eccesso e l’ipertrofismo di un artista noto proprio per […]
Delirio a Cannes, dove impazza la Gatsby mania. Tutto tappezzato di cartelloni e vetrine allestite in stille 20’s. Magari non piacerà ai critici, ma Il Grande Gatby di Baz Luhrmann è un grande film. Un film che fa sognare la folla. Quello che colpisce non sono l’esuberanza, l’eccesso e l’ipertrofismo di un artista noto proprio per queste caratteristiche qui, quanto la sua capacità di far rivivere un’idea di cinema che era destinata all’oblio.
Se infatti gli integralisti Fitzgeraldiani hanno posto la problematica filologica e dunque l’adattamento del regista, su un punto c’e poco da discutere: l’opulenza formale, stilosa e stilizzata è una più che plausibile messa in scena del periodo che rappresenta. E se tra le righe è possibile intravedere capolavori dimenticati come L’uomo della folla di King Vidor e i fiori umani di Busby Berkeley, non si rischia troppo azzardando una vaga citazione al cittadino Kane di Orson Welles. La carta del divismo è eccellentemente rappresentata da un Di Caprio che pare ringiovanito di una decina d’anni: la serie di spettacolari primi piani è esaltata da quel particolare uso della luce che rese icone gli intramontabili divi dell’epoca.
Tobey Maguire, fatti i dovuti distinguo e ricollocato in un’altra parentesi temporale, interpreta un ruolo simile a quello che fu di Humphrey Bogart ne La contessa scalza. Sebbene il suo personaggio richieda una carica di ingenuità diversa, al contempo è testimone, relatore dei fatti e fedele amico del protagonista. Il Grande Gatsby differisce senza dubbio dal cinema americano degli anni Venti, e piu in generale dal cinema classico, per la sua consapevolezza. Se l’operazione di Dujardin di qualche anno fa si limitava alla ridondanza, alla pedissequa copia di un cinema che fu, Baz Luhrman tenta qualcosa di nuovo. L’autoriflessività che è sempre stata tema ricorrente nel cinema classico hollywoodiano è qui oggetto di superamento ed evoluzione. L’uso del 3D è superfluo, ma nel complesso esalta il già amplificato concetto di cinema di Baz Luhrman, essendo dunque più che un fine un mezzo.
Il film acquista man mano che avanza. Troppo estetico per poter veramente creare un’empatica pietas, porta comunque un messaggio positivo e semplice. Parlando di un mondo superficiale e ricco, dei compromessi per raggiungere posizioni di potere, è in realtà un’elegia. Non tanto sull’amore, quanto sull’incorruttibilità del suo ideale, anche nella declinazione dell’amicizia.
Il fatto che questo film stia godendo di vicissitudini positive al box office, non significa che sia destinato solo al pubblico di A casa coi Kardashian. Vale la pena dargli una chance senza pregiudizi. Potrebbe essere un film per ricominciare a far sognare il mondo. Un film non che nonostante la critica becera farà sicuramente storia.
E mai film d’apertura fu più azzeccato. Passando al red carpet bagnato del giorno uno della 66esima edizione del Festival di Cannes, a sorprendere il pubblico assiepato non è stata solo la bellezza, sempre disarmante, delle star in sfilata, ma l’intervento di un nutrito gruppo di ballerini di charleston che hanno fatto letteralmente impazzire gli avventori assetati di spettacolo.
Giuria eccellente quest’anno guidata da un timido, impacciato Steven Spielberg. All’artista, forse il più rappresentativo della nostra epoca, è stato dedicato un video celebrativo in principio di serata, seguito da una standing ovation quasi più lunga del film. Raggiante Nicole Kidman che è passata dall’abito nero della conferenza pomeridiana al bianco abbagliante del soirée.
– Federica Polidoro
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