In memoria degli eroi del Ghetto: a Varsavia inaugura il Museum of the History of Polish Jews, oltre 4000 metri di sazio espositivo per raccontare mille anni di cultura ebraica in Polonia
Più che fare i conti con il proprio passato a Varsavia è tempo di farli con il presente. Se è vero ciò che riporta il New York Times, ovvero che sono poco più di 7mila e cinquecento le persone che nel corso del censimento effettuato in Polonia nel 2011 si sono qualificate come ebree, quando […]
Più che fare i conti con il proprio passato a Varsavia è tempo di farli con il presente. Se è vero ciò che riporta il New York Times, ovvero che sono poco più di 7mila e cinquecento le persone che nel corso del censimento effettuato in Polonia nel 2011 si sono qualificate come ebree, quando nel 2002 erano circa sei volte meno. Una questione di orgoglio culturale nel paese che, prima dello scoppio della Seconda Guerra Mondiale, contava una comunità che superava di slancio i tre milioni di unità. Torturate, seviziate e massacrate dalla barbarie nazista; protagoniste di un faticoso ritorno alla normalità, certo non agevolato dal regime comunista. Ed oggi finalmente al centro di un percorso di presa di coscienza della propria identità collettiva, favorito anche dall’inaugurazione del Museum of the History of Polish Jews, che ha aperto i battenti nei giorni in cui si ricorda il settantesimo anniversario della rivolta del Ghetto, struggente episodio di resistenza alle truppe tedesche. Erano in 15mila al taglio del nastro dell’edificio disegnato dal finlandese Rainer Mahlamäki, già alle prese con centri culturali, musei e biblioteche sparsi nell’area del Baltico; un progetto costato 48milioni di dollari, messi sul piatto dal governo polacco, con la città di Varsavia che ha donato gli oltre 12mila metri quadri di terreno su cui insiste lo spazio espositivo – siamo attorno ai 4.500 metri quadri. Un parallelepipedo di cemento e acciaio, rivestito esternamente con pannelli in vetro satinato, profilo semplice e severo che maschera la sinuosa feritoia che attraversa con curve morbide l’intero edificio, spaccandolo letteralmente in un due blocchi: il trattamento a base di rame con cui è stato trattato il cemento crea l’illusione della calda pietra del Sinai, con l’intenzione di evocare le forme di un imponente canyon naturale. Rimando fin troppo chiaro al mito del passaggio del Mar Rosso.
Materiale fotografico, reperti storici e cimeli, disposti in otto sezioni che non rinunciano a interazioni multimediali, raccontano oltre mille anni di presenza della comunità ebraica in Polonia, dal Medioevo all’Olocausto; all’ingresso una semplice mattonella, marchiata con un carattere ebraico, è ideale mezuza. La mattonella che le famiglie ebree, per tradizione, pongono come segno distintivo fuori dalla porta di casa.
Collezione permanente già installata, dal 2014 previste mostre temporanee ed eventi vari; la vita del museo è garantita dal sostegno privato: sono cento i milioni di dollari già raccolti, e non solo dalle attivissime associazioni culturali ebraiche. Solo la scorsa estate il cristiano Jan Kulczyk, magnate dell’industria mineraria, ha elargito alla causa oltre sei milioni di dollari.
– Francesco Sala
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati